The Bear (stagione 3), la recensione

La stagione 3 di The Bear mantiene alta la qualità, ma non raggiunge l'eccellenza delle prime due se non in un paio d'occasioni

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The Bear, la recensione in anteprima della stagione 3, disponibile dal 14 agosto su Disney+.

A quasi due mesi di distanza dall'uscita negli Stati Uniti, il ristorante più scombussolato di sempre sta per aprire le sue porte, ed ecco che il catalogo Disney+ si arrichisce con la stagione 3 di The Bear. Verrà pubblicata in una singola ondata, così come successo oltreoceano, e proporrà dieci nuovi episodi ambientati ancora una volta nella turbolenta Chicago.

Dopo due stagioni eccellenti, la stagione 3 di The Bear ha sulle spalle tutto il peso delle aspettative degli spettatori. Un po' come se la pressione provata dai cuochi dello show si riflettesse su cast e registi, chiamati qui a dare ancora di più rispetto al passato. Ci saranno riusciti? Solo il pubblico potrà giudicare, quando la stagione 3 di The Bear sarà finalmente disponibile anche in Italia il prossimo 14 agosto, in esclusiva su Disney+.

La trama della stagione 3 di The Bear

Avevamo lasciato Carmen Berzatto (Jeremy Allen White) chiuso nel congelatore, dopo una serata di prova tragicomica. Lo ritroviamo fuori dal freezer, single e pronto a tutto per ottenere una Stella Michelin. Al suo fianco Sydney(Ayo Edebiri), che deve decidere se firmare il contratto di co-intestazione del locale, il ritrovato "cugino" Richie (Ebon Moss-Bachrach) intenzionato a dare un senso a ogni secondo della sua nuova vita e la sorella Sugar (Abby Elliott) che deve fare i conti con l'imminente gravidanza. Le trame si intersecano durante i dieci episodi riportando volti noti e nuove guest star, fino a un'escalation finale che vi lascerà con un annoso dubbio fino alla prossima stagione.

In questa stagione poi Storer gioca nuovamente col tempo, dandoci un assaggio dei dieci episodi già nella prima puntata. Un assaggio che diventerà sempre più chiaro man mano che si proseguirà nella visione.

La quiete prima della vera tempesta

In questa stagione non mancano comunque gli episodi perfetti. Tra tutti, spicca il debutto alla regia di Ayo Edebiri con l'episodio 6 (Napkins), probabilmente la migliore puntata delle dieci. L'attrice è riuscita a raccontare un nuovo aspetto dei personaggi, svelandoci ancora di più sul loro passato. È una regia diversa da quella di Storer, ma allo stesso tempo derivativa, in modo che non stoni con il resto dello show trasmettendo sempre l'ansia e la pressione a cui siamo abituati. Gli episodi diretti da Storer offrono sempre gli stessi punti di forza: inquadrature fisse su dettagli dei personaggi, come le mani o gli occhi, o campi più larghi che mostrano il bello e il brutto di Chicago.

Anche Duccio Fabbri (che abbiamo avuto il piacere di intervistare e di cui potrete leggere le dichiarazioni la prossima settimana) ha diretto uno dei nuovi episodi, portando a schermo la dualità della vita di Carmy e degli altri membri del ristorante, nelle prime rocambolesche serate di servizio.

Chiude il gruppo di episodi memorabili Ice Chips (la puntata numero 8) che si basa completamente sull'interazione tra due personaggi in una stanza chiusa. Non so se questi episodi entreranno nell'olimpo della serie, al fianco di Forks e Fishes, ma si tratta sicuramente dei momenti più alti di questa stagione 3.
The Bear è sempre eccezionale nei suoi dettagli e nelle performance, e non c'è mai un attore fuori posto al'obiettivo della serie tv. Questa stagione 3 conferma la sicurezza della scrittura di Storer, anche se allenta (apparentemente) l'ansia sulle spalle di Carmy pur mettendolo nuovamente alla prova.

Un'abbuffata inaspettata

Quello che ancora non mi è chiaro, dopo aver visto questa stagione 3, è perché pubblicarla in un blocco unico. Negli anni passati la formula settimanale ha aiutato a digerire meglio i momenti più bui, quelli iracondi, quelli che ti facevano ragionare sul tempo sprecato a pensare o a fare le cose che non ti piacciono. Dare in pasto al pubblico dieci episodi potrebbe demolire alcune delle buone intenzioni dello show, lasciando spazio a una cocente delusione quando si arriva al finale di stagione. Non perché sia un episodio brutto, anzi, si tratta di uno dei più riusciti, ma perché arriva subito, a poche ore dalla prima portata, come un dessert servito troppo presto, quando stai ancora finendo di masticare il secondo.

In apertura ho esposto quello che era a tutti gli effetti l'elefante nella stanza. Dopo due stagioni eccellenti c'è ancora spazio di manovra per migliorare? La risposta purtroppo è parzialmente negativa. Perché no, la stagione 3 di The Bear non è meglio delle prime due, ma al contempo è di gran lunga superiore a gran parte delle serie tv uscite quest'anno (con le dovute eccezioni). E se la quarta stagione dovesse davvero rivelarsi l'ultima, dopo questo finale, il team sparerà seriamente tutte le cartucce rimaste.

La stagione 3 di The Bear mantiene alta la qualità, ma non raggiunge l'eccellenza delle prime due se non in un paio d'occasioni. Ovviamente, non si tratta di una stroncatura, ma di una promozione con più riserva rispetto agli encomi del passato, convinto che il meglio (o peggio a seconda dei punti di vista) debba ancora arrivare. Perché nonostante i difetti dei suoi disfunzionali protagonisti, ormai mi sono affezionato a loro, e non posso fare altro che provare lo stesso sentimento per The Bear.

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