The Beanie Bubble, la recensione
The Beanie Bubble ha sia un grande pregio che un grande difetto: mostra molto bene certi aspetti della subalternità lavorativa femminile ma non esprime un vero parere
La recensione di The Beanie Bubble, su Apple TV+ dal 28 luglio
Il film ha una struttura narrativa interessante e piuttosto ritmata: si parte con un flashforward (una scena cruciale dove tutti i fili dei personaggi si incrociano) ma si torna subito al 1984, l’inizio della carriera imprenditoriale di Ty Warner (Zach Galifianakis), mentre parallelamente vediamo gli eventi successivi del 1993, momento di apice commerciale della Ty Inc. Sembra confuso ma in realtà non lo è, e proprio questa struttura permette a The Beanie Bubble di creare sorprese e mantenere la curiosità sul personaggio di Ty, un uomo dolce e amorevole che pian piano si rivela essere molto più sfaccettato di quanto non sembri.
The Beanie Bubble racconta bene i singoli personaggi, sa renderli - per quanto al limite dell’abbozzato - credibili e lo fa soprattutto in funzione della loro posizione sociale/lavorativa, ma mai davvero del loro mondo interiore. Ecco, forse proprio così si potrebbe definire a grandi linee il mood di The Beanie Bubble: un film che racconta benissimo la superficie, sa mostrarla in modo interessante, ma che poi quando si tratta di venire a delle conclusioni serie si lancia fuori dalla finestra, terrorizzato dalle responsabilità. Questo è il capitalismo, e questo è quanto: lo dice esplicitamente il film allo spettatore, ma anche lo spettatore potrebbe dirlo del film.
Siete d’accordo con la nostra recensione di The Beanie Bubble? Scrivetelo nei commenti!
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