The Bad Guy (stagione 1), la recensione di tutti gli episodi

Uno spietato ritratto del nostro Paese, una messa in scena dal tocco personale che dosa bene commedia e crime: The Bad Guy è una serie convincente

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Spoiler Alert

La nostra recensione della stagione 1 di The Bad Guy, disponibile interamente dal 15 dicembre su Prime Video

Possiamo considerare The Bad Guy il secondo tassello di un universo seriale "crime italiano" di Prime Video, dopo Bang Bang Baby? Ce lo fanno pensare il focus sul mondo criminale degli ultimi episodi della prima stagione, la tendenza alla caricatura di alcuni dei suoi componenti, nonché il ricorso a un'estetica al neon in alcune sequenze, tutti elementi che accomunano i due show. Quello con protagonisti Luigi Lo Cascio e Claudia Pandolfi ha però una confezione e un orizzonte ben diverso da quello con al centro l'adolescente Alice, che gli permette di centrare il risultato. Dopo avervi raccontato le nostre impressioni sui primi due episodi, ecco dunque la nostra recensione della prima stagione completa, la cui seconda parte è disponibile su Prime Video a partire dal 15 dicembre.

The Bad Guy: dove eravamo rimasti

Nel terzo episodio, troviamo Nino Scotellaro (Lo Cascio) ormai guida del clan mafioso dei Tracina, che spinge a uno scontro con quello di Mariano Suro, il cui volto e vera identità non ci sono ancora rivelati. La faida che si apre è funzionale al raggiungimento del suo vero obiettivo: la vendetta personale contro il boss, causa della sua condanna e della sua reclusione. Accanto a lui, trova sempre più spazio la figlia di Suro, Teresa (Giulia Maenza), determinata a riabbracciare il proprio figlio.

Nel frattempo, l'ex moglie di Nino, Luvi Bray (Claudia Pandolfi) torna a lavorare come avvocato accettando la richiesta di collaborazione del suo ex segretario Matteo (Alessandro Lui), che ha aperto un piccolo studio legale. Leonarda Scotellaro (Selene Caramazza), sorella del protagonista, continua invece la sua attività come carabiniere e la caccia ai boss mafiosi, scontrandosi spesso contro l'ignavia dei suoi capi.

Lo stile personale dei registi

Se Bang Bang Baby è pervasa da una ricerca coolness nel ritrarre il proprio universo, non sempre convincente, The Bad Guy si avvale invece di un approccio mai troppo serioso, che allo stesso tempo non si limita alla commedia. I suoi registi, Stasi e Fontana, ripropongono infatti il loro lavoro sul genere, che non significa stravolgerne gli assunti di base (la parodia del poliziesco e del mafia movie, in questo caso) bensì adottare piccole ma significative accortezze e un tocco personale nella messa in scena. Ecco allora un ritmo movimentato, una colonna sonora indiavolata, un montaggio che crea parallelismi stranianti tra diverse situazioni.

Il loro obiettivo è anche quello di giocare con le attese dello spettatore, ad esempio allestendo un momento di genuina tensione per poi depotenziarlo beffardamente con un elemento comico che stride col contesto. Rispetto ai primi episodi, la seconda parte di The Bad Guy costruisce infatti un intreccio più articolato, che prevede anche diverse rivelazioni e colpi di scena, mantenendo alta l'attenzione ma sempre senza farsi mai cupo. Raggiunge così un giusto equilibrio tra le sue due anime, la commedia e il crime, dando anche un adeguato spazio ai suoi personaggi. Se alcune figure restano infatti un po' macchiettistiche (il Salvatore Tracina di Vincenzo Pirrotta) la storia propone un'interesse approfondimento di quelle di Nino e di Teresa Suro. Tra i due si crea un rapporto intenso, che nasce dal comune desiderio di vendetta verso Mariano Suro.

Un ritratto spietato del nostro Paese

Ma per dare a Cesare quello che è di Cesare, bisogna citare anche il contributo alla sceneggiatura di Davide Serino e Ludovica Rampoldi: dopo Il gioiellino, 1992 (solo Rampoldi) e Esterno notte (scritta da entrambi), The Bad Guy è un altro acuto ritratto del nostro Paese. La storia propone alcuni aspetti che la ambientano in una realtà alternativa (e distopica?), come la presenza del Ponte sullo Stretto di Messina e nomi di magistrati inventati, ma i meccanismi che la dominano non cambiano, anzi in questo modo sono ancora più evidenti. Corruzione nelle alte cariche, favoritismi, mille ostacoli nella lotta alla mafia: lo sguardo abbraccia così non solo più un preciso passaggio della nostra Storia, ma una tendenza che va avanti ormai da diversi decenni.

In questo contesto, l'unico modo per fare realmente qualcosa di utile diventa, per tutti i personaggi, ricorrere a metodi poco ortodossi, a vie non strettamente legali per difendere la legalità. Piuttosto che con quelli che si dichiarano onesti e probi, ma poi lo sono solo all'apparenza, ci è più facile empatizzare con i bad guys (che scopriremo essere non solo Nino), villain loro malgrado, costretti dalle circostanze. Se dunque il ritratto del mondo mafioso ci può far sorridere, per i suoi tratti talvolta surreali, quello delle forze dell'ordine e dell'apparato statale ci lascia dunque solo l'amaro in bocca, per come ci appare così realistico eppure così (involontariamente) grottesco.

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