The Americans (terza stagione): la recensione
Recensione della terza annata di The Americans, la serie di spionaggio di FX
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Mai come quest'anno l'idea centrale della serie, e quindi raccontare una relazione e un matrimonio attraverso l'attività di due spie sovietiche infiltrate sul suolo americano, è stata portata avanti con tale convinzione. Il lavoro di agenti sotto copertura di Elizabeth e Philip Jennings rimane l'inizio e la fine di tutto, ma non è mai solo la storia di come negli anni '80 la Guerra Fredda si combattesse a colpi di segreti rubati. Tutto viene riletto e riferito al nucleo familiare, al rapporto dei due protagonisti anche come marito e moglie, e infine come genitori. E proprio su quest'ultimo attributo la scrittura ha voluto porre l'accento. La seconda stagione si chiudeva con un cliffhanger: Paige, la figlia maggiore dei Jennings, sarebbe stata arruolata come agente di seconda generazione sul territorio.
A dimostrazione che non è il fatto in sé ad essere importante, ma il modo in cui la storia lo rielabora e lo racconta sotto una certa luce. Scompare quindi la storia sotto copertura di Philip con la minorenne Kimmy, improvvisamente la scoperta del doppiogioco condotto dalla disertrice sovietica non sembrerà così importante, così come il lungo (forse incompiuto) percorso di redenzione di Stan e Nina. Tutto torna alla famiglia, e così anche l'ultimissima parentesi, quella che vede Elizabeth, al tempo stesso madre e figlia, ritornare in Unione Sovietica per dare l'addio alla madre morente. Stagione di confessioni – attesa e finalmente, più o meno, arrivata tra Philip e Martha – di equilibri che si spezzano, di ruoli che saltano: sembra che negli ultimi tre anni The Americans non abbia fatto altro che costruire un lento percorso per arrivare fino a qui. Rimane una serie con dei punti fissi ormai ben stabiliti, dei temi sviluppati che raccontano una storia coerente e, almeno nei momenti decisivi, interessante, e due protagonisti in stato di grazia.