The Alpinist. Uno spirito libero, la recensione

The Alpinist è il racconto mozzafiato di una temerarietà quasi fuori dal tempo, di imprese che atterriscono e incantano allo stesso tempo. La recensione

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La recensione di The Alpinist. Uno spirito libero, al cinema il 7-8-9 marzo

Per Marc-André Leclerc scalare significa conquistare territori inesplorati, sfidare i propri limiti e il rischio di morte. Come un’astronauta, manda videomessaggi come se fosse in un altro mondo; le immagini delle vette circondate dalle nuvole e del cielo stellato sembrano quasi metafisiche, richiamando l'idea di un'avventura oltre i confini terrestri. Le imprese di questo giovane canadese, che ha compiuto alcune delle salite in solitaria più audaci della Storia, sono raccontate dal documentario The Alpinist. Uno spirito libero, diretto da Peter Mortimer e Nick Rosen.

Lo spunto di partenza del film, vicino a quello del recente La vetta degli dei, è l’indagine dei due registi su questa figura poco conosciuta, scoperta per caso su Internet. Leclerc infatti, in un'epoca in cui il suo sport sta spopolando, non ama documentare le proprie imprese e ricevere risonanza mediatica; non ha neppure un cellulare: racconta ridendo che glielo ha rubato una volpe, e così ha capito che può benissimo farne a meno.

Cosa lo spinge in imprese prive di un apparente scopo se non mettere alla prova se stesso? Da cosa nasce la sua passione? Sono queste le domande a cui cerca di rispondere il film, intervistando parenti, amici ed esperti, rivelando progressivamente alcuni dettagli. Scopriamo così che Leclerc soffre di un disturbo da deficit dell’attenzione che gli ha causato problemi con l'apprendimento scolastico. La madre, a cui è molto legato, gli fa fare lezioni in casa e lo invoglia a esplorare la natura e poi a cimentarsi nell'arrampicata. Questa diventa per lui occasione per trovare sé stesso, di assaporare una libertà altrove a rischio.  I pochi elementi forniti non bastano però a delineare un profilo completo, quanto a ribadire la sua contraddittorietà intrinseca ("È come provare a chiudere un lampo in una bottiglia". dichiara la voce narrante di Mortimer), il suo carattere sfuggente. L'obiettivo del documentario diventa allora raccontare il significato della sua vita.

Emerge la figura di un ragazzo timido e goffo, che sembra appartenere a un’altra epoca. Più volte vengono citate le sue esperienze da Free Solo (compiere la scalata senza alcuna protezione) richiamando l'omonimo documentario dedicato a Alex Honnold. Viene evocata la pericolosità, il frequente rischio di morte, ma qui il focus è sempre l’epicità delle sue avventure, l'elogio della sua temerarietà, della sua sfrontatezza. Valori alla base dell'alpinismo, ma anche in generale dell'uomo che vuole ampliare i propri orizzonti, che oggi sembrano perduti.

L'intreccio segue il crescendo delle sue imprese, via via sempre più difficili, e dal modo in cui sono raccontate nasce il fascino del film. Nelle lunghe scene che ce lo mostrano mentre è in azione, la tranquillità con cui si muove cozza con la realtà che lo circonda: l'altezza delle cime, l'asperità delle pareti rocciose, il suo piccolo corpo immerso nella grandeur del paesaggio naturale. Ne deriva un grande senso di vertigine, trasmesso talvolta tramite soggettive che mostrano il vuoto sotto di lui. Ma più alza l'asticella, più le imprese si fanno più ardue, più Leclerc sembra compierle con freddezza e rigore. Più ci chiediamo fino a dove potrà spingersi, più lui prosegue indefesso, e se da una parte possiamo essere atterriti, dall'altra rimaniamo incantanti. The Alpinist è dunque un racconto mozzafiato che lascia sbigottiti di fronte alla caparbietà di un uomo fedele solo a se stesso, in cui anche l'epilogo non fa che rimarcare l'invito a seguirne l'esempio.

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