The Alienist 1×10 “Castle in the Sky”: la recensione [FINALE DI STAGIONE]
La nostra recensione del decimo ed ultimo episodio di stagione di The Alienist intitolato Castle in the Sky
Come accade per alcune serie a tema "crime", lo scopo finale degli autori è chiaramente quello di mantenere alta la tensione negli spettatori, un espediente al quale spesso si arriva trattenendo tutta una serie di informazioni fondamentali sia sui protagonisti che sul caso oggetto di indagine, che è stato evidentemente usato nel caso di Castle in the Sky non ottenendo necessariamente gli effetti sperati e trasformandolo in un'arma a doppio taglio, poiché concentrare così tante rivelazioni in una sola puntata ha sortito inevitabilmente l'effetto di impoverire così tante importanti rivelazioni.
Come spesso abbiamo accennato, il protagonista dello show, il dottor Laszlo Kreizler, interpretato peraltro con grande maestria da Daniel Brühl nella sua impenetrabilità, è sempre stato fin troppo sfuggente. Sebbene si intuisse che dietro al suo atteggiamento doveva nascondersi qualche sorta di trauma, la scelta di rivelare il suo passato di abusi come estrema ratio di fronte ad un dolore chiaramente insopportabile è, a nostro avviso, un'occasione persa, sia nel dare all'interprete del protagonista l'opportunità di colorare il suo personaggio di maggiori sfumature, sia ai fini stessi della storia. Essere a conoscenza del fatto che l'ossessione di Kreizler per la verità circa le motivazioni di un killer cresciuto come un bambino abusato, fosse una diretta conseguenza degli stessi abusi da lui subiti da parte di un padre/padrone, in una società profondamente classista che tuttavia nasconde i propri crimini dietro alle porte chiuse, sia che si faccia parte degli eletti che dei meno fortunati, avrebbe sicuramente contribuito a dare molto più spessore al buon dottore e, soprattutto, avrebbe aiutato a diminuire quella distanza emotiva che la sua freddezza, alla lunga, ha creato tra il personaggio ed il pubblico.
Sulla carta Sara era la perfetta eroina Vittoriana, uno sguardo sul futuro a quelle donne coraggiose ed indipendenti che combatterono strenuamente per i propri diritti, ma nella realtà viene anche lei ridotta quasi al ruolo di "frutto di un trauma".
La brutale rivelazione che dietro alla sua freddezza, portata a volte agli estremi della fissità dall'interpretazione quasi soffocata della Fanning, si nascondesse in realtà il trauma di aver aiutato suo padre a suicidarsi, quando lui stesso, da solo, non aveva avuto il coraggio di arrivare fino in fondo e, orribilmente sfigurato e sofferente, venne trovato dalla figlia ancora vivo, con una pistola in mano, avrebbe infatti sicuramente aiutato la comprensione del personaggio se non fosse stata svelata solo alla fine della serie.
Così come avrebbe contribuito a capire meglio la sua attrazione intellettuale verso il dottor Kreizler e quella sentimentale verso John Moore (Luke Evans) entrambi rappresentanti di due mondi opposti, eppure essenziali per Sara: quello interiore, che nasconde un grande dolore proprio come Laszlo, e quello esteriore, che la vede come la donna felice e spensierata che avrebbe potuto essere secondo i canoni della società in cui vive, se non fosse stata costretta dalle circostanze a vivere il trauma che ha invece vissuto.
In quest'ottica è facile comprendere come Sara, nonostante sembri non riuscire a resistere al fascino di Moore, sia comunque, alla fine dell'episodio, restia ad accettare l'amore di un uomo come lui, così diverso ed incapace, secondo il punto di vista della giovane donna, di comprendere fino in fondo il suo lato più oscuro, proprio a causa della sua positiva personalità.
Il tira e molla tra i due, peraltro, è anche un'evidente accenno alla possibilità di una seconda stagione che sicuramente avrebbe un giovamento dal flirtare della potenziale coppia.
All'introspezione mancata dei personaggi, va aggiunta - ovviamente - la corsa alla soluzione del caso che acquista un ruolo centrale nello svolgimento dell'episodio finale.
Rientrato in gioco, il dottor Laszlo Kreizler torna in un certo senso a commettere gli stessi errori di sempre quando decide di mentire sia ai suoi compagni che al commissario Roosevelt (Brian Geraghty) per cercare di evitare che la polizia uccida Beecham, levandogli l'opportunità di comprendere le sue vere motivazioni, una decisione che avrebbe potuto avere conseguenze molto più tragiche, soprattutto per il giovane Joseph, se non fosse stato per l'intervento dell'ex capitano Connor (David Wilmot) il quale, dopo aver sparato al killer, privando Kreizler della verità che tanto anelava conoscere, finirà ucciso da Sara dopo aver tentato, ancora una volta, di aggredirla.
Al personaggio del commissario, peraltro, andrà meno peggio di quanto avrebbe meritato, soprattutto considerato i crimini di cui si era macchiato, quando Roosevelt ed il resto del team, per quieto vivere e per non sfidare inutilmente Byrnes (Ted Levine), decideranno di attribuire proprio a lui il merito della cattura di Beecham.
Per puro dovere di cronaca e per una sorta di dimostrazione della legge del contrappasso rispetto al finale della serie, apriamo, una breve nota storica proprio su Thomas F. Byrnes, un ufficiale della polizia di New York City realmente esistito, che divenne famoso per le critiche alle autorità londinesi nella gestione del caso di Jack lo Squartatore, i cui metodi piuttosto brutali gli valsero l'obbligo alle dimissioni proprio quando il futuro Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt venne eletto alla carica di Commissario e lo costrinse ad allontanarsi dal corpo per i suoi metodi. "Kreizler: Credo che da qualche parte dentro di lui volesse che la società sapesse che era un suo tormentato frutto. Un esempio vivente di tutti i crimini che vengono perpetrati dietro alle sue porte chiuse."
Per tornare al caso del nostro killer, la frustrazione di Kreizler si fa ancora più palpabile quando, anche dopo un'autopsia eseguita dai fratelli Isaacson sul corpo dell'assassino non verranno trovate anomalie ed il dottore non riuscirà a trovare le risposte che cercava e, in assenza di una qualsiasi evidente prova fisica che possa spiegare i motivi per cui un uomo come Beecham abbia cominciato ad uccidere, sarà costretto ad ammettere o piuttosto concludere che alcune vittime di crimini scelgono, proprio come l'assassino a cui hanno dato tanto strenuamente la caccia, la strada del male, mentre altri - come lui stesso o Sara - usano le proprie esperienze per aiutare il prossimo e migliore la difficile società in cui vivono. Una sorta di conclusione piuttosto semplice, se non quasi innocentemente banale, di un'indagine che ha tolto (e dato) così tanto ai protagonisti di questa avventura e che pur nel fascino della cornice storica in cui si è svolta, ha comunque costantemente mancato di alcuni elementi cardinali per tutto l'arco del suo svolgimento, che avrebbero sicuramente contribuito ad elevare, nel suo insieme, un prodotto che, grazie ai suoi interpreti, resta comunque nel complesso discreto.