The Adam Project, la recensione

Un film grande e grosso che ne contiene un altro, piccolo e intimo come non siamo più abituati a pretendere e invece dovremmo

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di The Adam Project, in uscita su Netflix l'11 marzo

Ci voleva davvero un film in cui Shawn Levy potesse essere di nuovo Shawn Levy, non quello di Una notte al museo e Free Guy (operazioni impeccabili dirette con maestria ma più divertenti che sincere), quanto quello di This Is Where I Leave You e Real Steel, quello capace di tirare fuori emotività da racconti classici, capace di fare cinema originale e di farlo lavorando tantissimo sulla recitazione, fino a spremere dialoghi e sceneggiature in modo che perdano tutte le dolcezze più zuccherose e rimanga solo la polpa che conta. Il cinema americano che non si fa più.

E questo è The Adam Project: il cinema americano che non si fa più, vestito come il cinema americano che si fa di più di tutti. Perché questa sceneggiatura che è in giro dal 2012 ma è entrata in produzione solo nel 2020, dopo diverse riscritture, grazie a Netflix, è stata modellata palesemente su Guardiani della galassia per tono, dialoghi e personaggi, tuttavia nasconde un cuore tutto suo, autonomo e originale.

Lo spunto è forte: un pilota dell’esercito del 2050 viaggia indietro nel tempo con una tecnologia relativamente nuova e approda 30 anni prima a casa sua, incontrando il se stesso di 12 anni. Ha un piano (più o meno) anche se tutto non sta andando benissimo, ha una missione e degli inseguitori spietati, per riuscire ha bisogno però di se stesso. Il grande Adam e il piccolo Adam quindi partono insieme per un avventura. L’adulto (Ryan Reynolds) è praticamente Star Lord, il piccolo è il protagonista di un film Amblin, è uno dei Goonies, il ragazzo sveglio ma bullizzato che sogna di essere in un’avventura e i cui occhi sono sempre spalancati. L’unione di questi due mondi narrativi è solo la prima di molte operazioni non facili di un film riuscito oltre ogni aspettativa.ù

C’è infatti molto di più che non anticipiamo, quel che conta però è come The Adam Project sappia piegare tutte le regole e la logica interna della sceneggiatura alle sue esigenze sentimentali trovando momenti di eccezionale soddisfazione e spiazzante serietà (un confronto tragico tra Adam grande e Zoe Saldana passa da ordinario ad eccezionale solo grazie al volto del piccolo Adam che assiste a tutto in silenzio ma seguendo).

Il film si crea la sua teoria sui viaggi nel tempo (e il suo funzionamento), si crea anche alcune sue leggi della fisica ma nemmeno a quelle è troppo attento (in una scena con un grande magnete viene attirato solo quello che serve alla trama e quando è utile), perché Levy sa benissimo che il punto è sempre un altro. Il punto è che una situazione inedita (la stessa persona adulta e piccola) può scatenare i soliti sentimenti ma in modi inattesi.

L’arma segreta in questo senso è Walker Scobell, l’attore che interpreta Adam a 12 anni. I bambini dei film americani sono quasi sempre bravissimi, lui sta a un altro livello ed è sfruttato in linea con queste potenzialità. Il suo sguardo sull’Adam adulto cambia il film e segna l’evoluzione della storia, rende credibili riflessioni sentimentali che altrove sarebbero banali, consente di porre domande non banali su dove risieda la vera essenza di ognuno, se nel sé inesperto ma autentico di 12 anni o in quello indurito dalla vita ma più esperto e meno ingenuo.

Quando poi nella seconda metà entra in gioco anche Mark Ruffalo (di nuovo con Jennifer Garner in un film sui viaggi nel tempo dai tempi di 30 anni in un secondo), un attore capace di migliorare istantaneamente ogni film in cui partecipa, portando con sé una quantità di verità sentimentale che fa paura, allora The Adam Project può fare davvero tutto.

Sia chiaro, il film non è certo perfetto (contiene il peggior ringiovanimento digitale dei nostri anni) ed è il classico caso in cui tutta l’azione furiosa è superflua, bastava anche meno. Ma come già per Real Steel, riesce a creare una storia grande e ad alto volume, che ne contiene una piccola e intima che funziona sul serio a furia di cura dei dettagli. Bentornato Shawn Levy.

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