The Accusation, la recensione | Venezia 78

Un caso complicato di stupro di fronte al quale The Accusation sceglie di dare pari dignità ad entrambe le tesi. Che è un po' un problema

Critico e giornalista cinematografico


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The Accusation, la recensione | Venezia 78

Una storia in cui nessuno si comporta in modi irreprensibili, in cui entrambi i coinvolti di quello che diventerà un processo mentono, sbagliano e tentano con furbizia di tutelarsi, rende molto difficile per lo spettatore parteggiare. Che è bene. Ma non lo è tanto se al centro c’è un’accusa di stupro. The Accusation infatti scrive una storia di finzione apposta perché sia ingarbugliata e tiri in ballo questioni complesse, in modo che non sia facile dare tutti i torti o tutte le ragioni e schierarsi sia spinoso. Che è bene. Ma non tanto se stiamo parlando di un’accusa di stupro.

L’obiettivo di Attal è fare Asghar Farhadi, cioè presentare una storia in cui lo spettatore fatichi a piazzare le proprie pedine e a sposare un punto di vista. E lo vorrebbe fare proprio come Farhadi cioè usando il fuori campo, ciò che è successo prima degli eventi narrati o fuori dalla nostra visione, per creare una zona nera che non conosciamo e per la quale dobbiamo affidarci ai personaggi, i quali di discussione in discussione ricostruiscono un mondo in cui la verità sembra non essere possibile. Ecco qui è tutto più semplice e schematico, l’esplorazione della realtà è fatta prima seguendo lui, poi seguendo lei. Vediamo sentimenti, questioni, problemi e famiglia di lui e poi di nuovo capiamo cosa è successo quella sera seguendo i problemi e le questioni di lei. Tutto il mondo esterno e i suoi condizionamenti entrano nei comportamenti della fatidica serata. Infine, il processo.

Passando attraverso le superflue e noiose questioni dei genitori, che Attal vuole esplorare anche al di là dell’impatto che hanno nella vicenda ingrandendo decisamente troppo il tutto, arriviamo a capire che la tesi del film (come sempre nel cinema francese dialogato con grande grazia) è che ognuno può avere un’idea diversa di violenza (entro certi limiti), che i confini del consenso sono labili e la tendenza umana a mentire per convenienza o vergogna può rendere le acque torbide. Dando alla vicenda dell’uomo i contorni della parabola da Fritz Lang (chiunque in ogni momento può essere perseguito dalla giustizia), senza contare una partecipazione molto maggiore della regia all’arringa della sua difesa, di fatto i problemi, le questioni e la tesi per la quale il ragazzo non ha capito che non c’era consenso, sono discusse e messe sullo stesso piano del dramma della vittima.
Che, a prescindere da come finirà il processo, in sé è un approccio parecchio parecchio discutibile.

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