Thanksgiving, la recensione
La solita strage efferata di personaggi di Eli Roth in Thanksgiving prende una piega ironica che di colpo dà un senso a tutto
La recensione di Thanksgiving, il film di Eli Roth in uscita in sala il 16 novembre
In Thanksgiving un evento iniziale crea la minaccia, una ressa fuori da un grande magazzino nella notte del giorno del Ringraziamento sfocia in disordini. La folla in un attimo è inferocita e non appena le transenne saltano entra nei negozi saccheggiandoli, calpestando e mietendo vittime. Lo fa con una rabbia sociale che non ha una direzione chiara ma sembra prendere di mira qualsiasi cosa. Un anno dopo un killer mascherato uccide una per una quelle persone che hanno giocato un ruolo nei tumulti di quella notte. Chi ha ucciso e chi ha provocato. Il film, come si conviene, ci fa sospettare di tutti a turno anche se è abbastanza chiaro chi sia l’unica persona ad averci realmente rimesso.
Finalmente quel modo profondamente disturbante e non conciliato di rappresentare il sangue e la violenza, cioè il suo programmatico non voler fare sconti e affermarsi come una garanzia di efferatezza, ha un senso. In linea con la rabbia sociale della cittadina in cui si svolge la storia la violenza perpetrata dal killer sembra più il modo di agire di un giustiziere che fa giustizia là dove sembra che a nessuno interessi punire i colpevoli. Che poi tra questi colpevoli ci siano anche i protagonisti è un passo ancora più in avanti.