Thanksgiving, la recensione

La solita strage efferata di personaggi di Eli Roth in Thanksgiving prende una piega ironica che di colpo dà un senso a tutto

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Thanksgiving, il film di Eli Roth in uscita in sala il 16 novembre

Fin dall’inizio quello di Eli Roth è stato cinema approssimativo, pieno di microproblemi di scrittura e di regia, dagli errori di continuità a piccole imprecisioni fino a una generale aria raffazzonata nella messa in scena. In Thanksgiving, molto più che in precedenza, cerca la strada della commedia horror, e la cerca per fare satira di costume, cioè per esprimere un’idea politica. Rimane il suo un fare molto amatoriale di fondo ma almeno c’è qualcosa a compensare, un senso dell’ironia reale e centrato (non pretestuoso e fuori fuoco come in passato), una voglia di divertirsi finalmente condivisibile con il pubblico e soprattutto un’idea semplice ma messa in scena bene.

In Thanksgiving un evento iniziale crea la minaccia, una ressa fuori da un grande magazzino nella notte del giorno del Ringraziamento sfocia in disordini. La folla in un attimo è inferocita e non appena le transenne saltano entra nei negozi saccheggiandoli, calpestando e mietendo vittime. Lo fa con una rabbia sociale che non ha una direzione chiara ma sembra prendere di mira qualsiasi cosa. Un anno dopo un killer mascherato uccide una per una quelle persone che hanno giocato un ruolo nei tumulti di quella notte. Chi ha ucciso e chi ha provocato. Il film, come si conviene, ci fa sospettare di tutti a turno anche se è abbastanza chiaro chi sia l’unica persona ad averci realmente rimesso.

Tutto quello che in film come Hostel o Green inferno non andava bene, in Thanksgiving, con il solo cambio di tono, diventa appropriato. Non solo è molto più sensata l’estetica di Eli Roth fatta di corpi fragilissimi, pronti a slabbrarsi, separarsi o aprirsi al minimo contatto con un corpo contundente, ma è anche più ragionevole quell’idea che ha portato avanti fin dall’inizio dell’omicidio come un pratica creativa e artistica, l’esigenza di far morire personaggi in modi originali e con un certo gusto (che non sempre è buon gusto ma sempre è ricercato). L’ironia di cui è pervaso Thanksgiving funziona così tanto da rimettere al suo posto anche il piacere sanguinario di Roth.

Finalmente quel modo profondamente disturbante e non conciliato di rappresentare il sangue e la violenza, cioè il suo programmatico non voler fare sconti e affermarsi come una garanzia di efferatezza, ha un senso. In linea con la rabbia sociale della cittadina in cui si svolge la storia la violenza perpetrata dal killer sembra più il modo di agire di un giustiziere che fa giustizia là dove sembra che a nessuno interessi punire i colpevoli. Che poi tra questi colpevoli ci siano anche i protagonisti è un passo ancora più in avanti.

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