Moving On, la recensione | TFF38
Un esordio eccezionale. Moving On nonostante una prima parte più debole, trova nella seconda la forza dei film più potenti
Come in un film scritto da Sofia Coppola ma diretto da Hirokazu Kore-eda, Moving On vuole mostrare a tutti come ci si senta ad essere una ragazza che cresce. È un coming of age (anche se non c’è lo scatto della crescita) ma anche uno studio umano. Lentamente il film passa da un’osservazione naturalista un po’ stucchevole e priva di mordente che domina la prima parte ad un intreccio finalmente probante per i personaggi.
Yoon Dan-bi è al primo film e non ha quella capacità incredibile di Kore-eda di impostare fin da subito contrasti potentissimi che lungo tutto il film prenderanno poi pieghe imprevedibili con la dolcezza delle vite più semplici e pudiche. Solo nella terza parte arriva al dunque e per fortuna con una precisione tale da convincere moltissimo. Quando entriamo nelle teste dei suoi personaggi, e più che altro della sua protagonista, per capirne i contrasti finalmente Moving On dimostra quel che vuole e può essere.
Nella casa ad un certo punto arriva anche la zia (l’altra figlia del nonno) per la stessa ragione economica. Il piano diventa allora mettere il nonno in una casa di riposo e vendere l’abitazione, un’idea spietata portata con una tranquillità e un affetto ineluttabili. Tuttavia si tratta solo dello sfondo dei turbamenti di Dongju chiaramente, uno dei mille fattori che la fanno sentire (e ci fanno sentire) aliena rispetto alla sua famiglia, desiderosa di scappare, voler essere invisibile, voler essere diversa e voler essere amata. Questa partecipazione così forte ai desideri adolescenziali più tipici, e qui così intensi, fa tutta la differenza tra il solito esordio e uno notevole.