Calibro 9, la recensione | TFF38
Il sequel di Milano Calibro 9 è un poliziesco nè d'epoca nè moderno che non si concentra sull'azione e sfocia ben presto nei difetti del cinema italiano
LEGGI: Bastardi a Mano Armata: sono iniziate le riprese del nuovo film con Marco Bocci
GUARDA: Calibro 9, la video recensione e il podcast | TFF 38
Il tentativo di Calibro 9, sembra di capire, è un po’ di ricalcare alcuni stilemi (oltre alla struttura della trama) del film originale e un po’ di cercare di dare anche un colpo al poliziesco moderno, ma nel tentativo sembra perdersi a metà strada e cascare, come già faceva il precedente poliziesco di Toni D’Angelo, Falchi, nelle trappole più note del cinema italiano. La prima di queste è il casting. Marco Bocci come protagonista di un noir in continuità con quello guidato da Gastone Moschin è una scelta che si rivela infelice. Bocci non sembra mai avere la faccia dura, la vita vissuta e la capacità di affrontare la disperazione con rigore, né quella di sostituire tutte queste caratteristiche con quelle più morbide che la trama gli chiede.
Se guardato come noir o poliziesco moderno Calibro 9 non ha la precisione richiesta, cioè non c’è quella minuzia nel descrivere figure, attività, metodi e tecniche, non c’è insomma il desiderio di approfondire come i criminali facciano il loro lavoro e guardarli da vicino e anche il commissario di Alessio Boni suona come una divagazione poco utile, poco decisa e molto ariosa. Invece se lo si guarda come omaggio al cinema italiano di genere degli anni ‘70 (che preciso non era per niente ma semmai tutto tecnica e stile, tono giusto e secchezza) questo film non ha la capacità di andare dritto al punto. Gli manca la concentrazione sull’intreccio e sull’azione finendo per prediligere il dialogo e l’introspezione. Solo che l’originale era era recitato benissimo e così centrava il senso della vita dura criminale e cosa dica del nostro mondo. Calibro 9, a partire dall’azione spesso al ralenti, è calcato e calligrafico.In accordo con questa tendenza anche le sequenze di azione (principalmente inseguimenti a piedi o in macchina) sembrano interessare poco al film. Ce ne sono, ma non hanno personalità, sono più esecuzioni corrette di standard tecnici, scene portate a casa correttamente che non hanno però nessuna qualità, nessun rapporto con lo stile del film e nessuna dinamica. Anche la musica è sovrapposta, non pensata e montata in armonia.
Come anche infine la lunga coda, dai tempi più dilatati del resto del film, l’opposto dell’originale che invece finiva in modo molto secco e brutale (ma ci sarà la citazione della frase del cappello dal levare).
Insomma, non c’è una vera concentrazione sull’azione, a Calibro 9 interessano di più i confronti a parole tra attori e la sensibilità che i personaggi esprimono parlando.
Non a caso come già Falchi più la storia e la trama avanzano più il film sembra perdere connotati polizieschi, fino ad un finale in cui (letteralmente) si finisce a parlare in cucina di sentimenti e della propria vita familiare. Modalità espressive, scene e luoghi intimi più vicini al cinema d’autore italiano classico, che qui, nemmeno a dirlo, stonano moltissimo.
Sei d'accordo con la nostra recensione di Calibro 9? Scrivicelo nei commenti