TFF36 - Wildlife, la recensione

Il coming of age di un ragazzo negli anni '50 è per Wildlife un'occasione più letteraria che cinematografica

Critico e giornalista cinematografico


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C’è un inevitabile e ineludibile passaggio d’età in questa storia di un figlio con genitori problematici nell’America degli anni ‘50. Una ricostruzione di quella che è convenzionalmente considerata l’età dell’oro degli Stati Uniti che appositamente annulla qualsiasi conflitto che non sia privato, non negando quindi la patina idealizzata che convenzionalmente è associata a quegli anni ma mostrando cosa avviene dietro le porte e nelle case. Il benessere di massa e l’esplodere dell’american way of life come un tarlo che distrugge chi non si sente adeguato o non riesce ad esserlo.

E dietro la porta della casa del protagonista c’è un nucleo che si è sfaldato per ragioni che lui stenta a capire. Il padre è andato a spegnere fuochi nei boschi da che non aveva relazioni con i vigili del fuoco e la madre è crollata immediatamente. Sono giovanissimi per gli standard attuali (lei ha 34 anni e un figlio di 14).
Vediamo tutto tramite gli occhi del protagonista quindi capiamo poco. Non capiamo la relazione che la madre inizia ad intrattenere con un uomo più vecchio, non capiamo perché menta sul suo lavoro, né come mai il padre, dopo aver perso il lavoro, se ne sia andato e sia così tarato al ritorno, come fosse rientrato da una guerra. Quel che capiamo è la maturazione necessaria per sopravvivere a tutto questo.

L’origine di questo primo film di Paul Dano è un romanzo di Richard Ford (Incendi) e si sente moltissimo. Wildlife ha un passo più letterario che cinematografico, nel senso che non cerca tanto l’azione dei personaggi ma come nei romanzi punta al grande racconto per piccoli gesti, cesella le scene tramite descrizioni e momenti di dialogo a due, invece che tramite immagini o performance attoriali. E questi sono i suoi momenti migliori.

In quelli peggiori tutto suona molto calcolato, come se Dano e Zoe Kazan (compagna nella vita che con lui ha scritto la sceneggiatura) sapessero molto bene dove voler arrivare, a quale risultato condurre la storia, e pensassero solo ad arrivare lì. Ne è un buon esempio la maniera sfacciata e smaccata con la quale assolvono il loro protagonista e si barricano dalla sua parte, non con naturale affetto ma con chiaro senso del dovere.

Lo scopo è raccontare come diventare adulti nonostante i genitori ma non è mai stato così calcolato e scontato, quindi poco sentito.
I migliori cineasti dell’età d’oro di Hollywood padroneggiavano un mestiere tale da non necessitare di aver vissuto certe sensazioni o storie per poterle raccontare. Da quando però i cineasti non fanno un film l’anno ma uno ogni 3 avviene l’opposto: è aver provato o provare certi sentimenti in prima persona a fare la differenza. E qui è come se Paul Dano tutto quel che racconta non l’avesse provato né avesse compreso alla fine cosa davvero può spiegare quei sentimenti e quelle sensazioni.
La storia è amara e l’atteggiamento del protagonista dolce, ce lo dice la trama e lo capiamo bene, ma il film è totalmente inefficace.

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