TFF36 - Santiago, Italia, la recensione

Il racconto del golpe di Pinochet diventa una maniera per raccontare l'Italia, gli ideali degli anni '70, il clima e il fermento umano che derivava dalla comunanza ideologica. Santiago, Italia ha la dolcezza dei ricordi

Critico e giornalista cinematografico


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In Santiago, Italia non c’è realmente il desiderio di raccontare il colpo di stato che in Cile ha portato alla dittatura di Pinochet come viene fatto per buona parte della sua durata ma, come suggerisce il titolo, di usare quegli eventi per raccontare l’Italia di quegli anni, l’Italia degli anni ‘70, come avviene nell’ultima parte. Nonostante la prima parte del documentario ricostruisca tramite testimonianze ed immagini dell’epoca gli eventi prima dell’elezione di Allende e poi del golpe, è la seconda quella che tira veramente le fila del tutto, lasciando scoprire come si sia trattato di un racconto finalizzato a mostrare il grande cuore italiano alimentato da ideali di accoglienza, solidarietà e comunanza ideologica.

Ed è davvero inconsueto che venga proprio da Nanni Moretti un documentario così dolce e tenero, in cui l’accoglienza di ieri per gli esuli del regime è raccontata con la lente del ricordo e messa in maniera abbastanza evidente in rapporto alla situazione dell’immigrazione odierna dai rifugiati stessi (intervistati oggi). Nonostante le situazioni non siano paragonabili il paragone viene fatto lo stesso, perché quel che interessa a Nanni Moretti è raccontare la parte che occupa il minutaggio minore (ma più determinante) del documentario, cioè come l’ideale socialista e comunista negli anni ‘70 fosse in grado di unire invece di dividere, come stimolasse la parte migliore di ognuno. E per fare tutto questo è disposto a scendere nel territorio dell’idea degli italiani teneri e di buon cuore, gentili e disposti sempre ad aiutare chi è in difficoltà.

Santiago, Italia è un documentario in cui Moretti lascia che gli intervistati si commuovano, e si concede anche dei momenti abbastanza ruffiani quando va ad intervistare un paio di militari per avere un punto di vista opposto quello dominante. Lì concepisce quelle interviste o come umiliazioni o come confronti in cui lui, in quanto regista, ha il coltello dalla parte del manico e può rivendicare uno statuto di parzialità su cui nessuno aveva dei dubbi, a favore di camera. Santiago, Italia è narrato benissimo e tutta la grande storia è raccontata con una fluidità quasi classica, da documentario d’altri tempi confezionato in maniera ineccepibile. Eppure il film è così contaminato da uno spirito di esaltazione ideologica del passato che lascia più stupiti che sconfortati.

La storia sentimentale del golpe e della resistenza ad esso, con il suo corollario di eroismi di guerra, racconti di torture e clamorose fughe, ha una potenza narrativa non comune. Moretti giustamente la cavalca e anche bene, creando una ricostruzione storica di fiera parzialità ma anche di indubbia presa. Eppure le smancerie nostalgiche frenano qualsiasi idea il documentario voglia mettere in campo trasformandola in ideologia. Così smaccato, evidente e mal nascosto (anzi per niente nascosto) è il desiderio di rivangare un’altra epoca con dolcezza che Moretti addirittura si abbandona ad un fermo immagine finale per dare enfasi ad un tirata sui mali della società odierna.
Perfetto per chi non vede l’ora di essere già daccordo con la chiara tesi di fondo, Santiago, Italia è un’opera che nasce in grande stile e muore nella piccineria dell’agiografia del ricordo.

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