TFF36 - La Disparition des Lucioles, la recensione

Un summer movie di baia, girato in Quebec con dei protagonisti usuali in storie inedite, La Disparition Des Lucioles è una scoperta

Critico e giornalista cinematografico


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Un summer movie ambientato in Quebec, in una cittadina su una baia.

È un’estate che non ci appartiene, fatta di paesaggi e personaggi che non sono i soliti, passata tra il caldo dell’asfalto come in Giappone e un paesino di provincia in cui odiare tutti perché omologati, borghesi senza vita e perbenisti. Eppure, nonostante non ci appartenga, lo stesso questa estate ci appare familiare, come se vista sullo schermo la riconoscessimo nei nostri ricordi. È il miracolo di La Disparition des Lucioles: creare familiarità con un paesaggio con il quale non ne abbiamo.

Eppure fin dal suo attacco, una conversazione insostenibile in un ristorante, in cui la protagonista guarda con odio madre e patrigno mentre sproloquiano, si assenta un attimo e al volo prende un autobus per fuggire, fin da lì e da come questa fuga è accompagnata da uno score di archi classico che sembra uscito da un melò di Douglas Sirk della Hollywood anni ‘50, c’è qualcosa di diverso in questo film in cui nulla è semplice.

La protagonista idolatra il padre, odia la madre, ma soprattutto il patrigno. Conosce un ragazzo più grande che insegna chitarra privatamente ma fa anche una vita un po’ squallida, nel seminterrato della madre, senza aspirazioni.
Con una serie di numeri da circo complicatissimi (e senza appoggiarsi troppo alla recitazione) La Disparition Des Lucioles riesce con calma e minimalismo a raccontare il bisogno silente di contatto umano, il mistero del desiderio quando non è chiaro nemmeno per chi lo si provi e sceglie di negare una storia d‘amore là dove ce l’aspetteremmo, senza negare però un vero rapporto sentimentale.

Purtroppo nonostante un’ottima scrittura e un impianto visivo di gran livello, pensato per non essere clamoroso ma così coerente e raffinato da esserlo lo stesso, il film muore verso metà per assenza di intreccio vero. La sola contemplazione della quotidianità non riesce, non siamo in un film di Linklater, e non si crea così quella magia per la quale anche gli eventi ordinari gridano dettagli sui personaggi.
Solo nel finale qualche resa dei conti e una decisione improvvisa non diversa da quella iniziale, ma segnata dalla mestizia invece che dalla soddisfazione, rimetterà il film sul binario migliore.

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