TFF36 - La Casa Delle Bambole, la recensione
Due ragazze e una madre si trasferiscono in una casa isolata, La Casa Delle Bambole, lì inizia un viaggio incredibile nella violenza che si può subire
Dopo che abbiamo visto una madre e due figlie di circa 13 e 14 anni arrivare in una casa dallo stile gotico, che pare preparata da qualcuno per un film horror tanto è piena di dettagli di paura, posta in mezzo al niente degli Stati Uniti, La Casa Delle Bambole entra in un giro di misteri e scoperte in cui Pascal Laugier è così bravo che non fa capire allo spettatore cosa voglia che lui pensi.
Chi ha visto Martyrs sa bene di cosa sia capace questo regista che stavolta ha girato l’altro lato della medaglia di quel film. La casa stavolta non è ipermoderna ma apposta molto vecchia e la violenza non si vede mai là dove in Martyrs la parte allucinante era proprio cosa riuscisse a mostrare e come. Lo stesso, anche solo il fatto che vediamo le conseguenze di questa violenza, basta e avanza a creare un film pazzesco in cui questo regista riesce a comunicare così bene il proprio terrore della violenza da trasmetterlo allo spettatore.
Anche questo è un film spaventato dalla prigionia e dal massacro lento. In Laugier infatti non è mai un eccesso di violenza puntuale a costituire il dramma ma la sua somministrazione continua e potenzialmente infinita. Cosa accade ad una persona che ha la consapevolezza che il suo massacro potrebbe non finire mai? Che abbia trovato una nuova maniera per declinare tutto ciò è pazzesco e soprattutto che in La Casa Delle Bambole ci sia una tale noncuranza per aspetti che altri film con personaggi o scenari simili avrebbero esaltato, come il contesto o le implicazioni politiche, non sono altro che la porta per le sue ossessioni.
Laugier non è un cineasta politico ma puramente individuale, è lui ad avere paura e i suoi film sono viaggi personali nelle fobie della sua testa.