TFF36 - Copia Originale, la recensione
Ambientato negli anni '80 nel mondo dei collezionisti di cimeli letterari Copia Originale è un sorprendente film dirottato con classe da Melissa McCarthy
Sarà in un bar omosessuale infatti che incontrerà un’altra anima affine, un gay dai pochi soldi e dalle poche abilità sociali con cui concepire il suo piano criminale per truffare una società che odia e che non le riconosce il suo valore. Copia Originale racconta un momento dorato e di successo in una vita piena di errori. In questa solitudine c’è un cuore, al fondo proprio, che sta nello stile di vita alternativo e opposto a tutto, negli scherzi telefonici alla sua agente, nel disprezzo degli altri nei suoi confronti, nel non vestirsi, non proporsi e in una parola non essere quello che la società chiede a lei di essere. Marielle Heller fa un ottimo lavoro nel lasciare che tutto questo non sia mai una giustificazione, che Lee Israel sia sempre la prima responsabile di ciò che di male le accade, ma la mostra con un tale spirito d’opposizione al resto di un’umanità così poco attraente, da scivolare anche nel terreno dell’opposizione ad un mondo che pare sempre ingiusto. In questo modo la truffa apparirà di colpo giusta.
Non solo, riesce anche ad indirizzare tutto il film verso una strana forma di pietà. In questa storia vera di mistificazione che come molto delle storie vere raccontate in forma di finzione dalle major hollywoodiane negli ultimi anni ha a che vedere con qualcuno che cerca di fingersi quel che non è, Melissa McCarthy non esalta la protagonista, non la ritrae come una scema funzionale ma anzi le dona delle note dolenti e piccine che avvicinano il pubblico alla pietà. Mai una pietà piena e totale, Lee Israel rimane una donna fiera e intellettualmente vivace in un sistema che l’ha marginalizzata, ma ne vediamo talmente tanto la sofferenza autoinflitta da provare tenerezza. Ed è solo merito dell’attrice.