[TFF34] Suntan, la recensione
Senza timore di esagerare e con la paura di chi prova realmente ciò che racconta, Suntan è un viaggio nella perdizione di un brav'uomo
Nonostante sia ben oltre i 40 anni Kostis è un medico di scarsa fama, inviato sull’isola greca di Antipartos a sostituire il precedente dottore. Ora è lui l’unico medico del luogo. L’inverno è lungo e triste ma l’estate è piena di ragazzi in calore, spiagge nudiste e tentazioni. Quella che travolge in pieno Kostis sarà un vortice che lo condurrà sempre più in basso.
Il ruolo istituzionale da tenere (l’unico medico dell’isola, figura affidabile che necessita di prontezza e presenza), le difficoltà di una vita evidentemente mogia, l’insoddisfazione e l’improvviso avvistamento di una redenzione sentimentale per non dire proprio sessuale, sono tutti elementi che Suntan (significa: abbronzatura) calibra a dovere per essere portarli allo scontro dentro Kostis.
In ballo non ci sono tanto i sentimenti (presi a calci) quanto la dignità di un uomo, il suo lavoro, l’integrità di una vita che già, per sua ammissione, non è mai decollata davvero. Come in L’Angelo Azzurro di Von Sternberg, il dolore può confinare con il ridicolo in un attimo e non abbandonare più la sua vittima, portandolo in breve ad una forma di follia che non ha niente a che vedere con la demenza e tutto a che vedere con la sofferenza.
Molto del merito della riuscita dell’equazione del film va a Makis Papadimitriou, che interpreta il protagonista, capace di spaziare tra gli estremi della mestizia e della violenza, dell’innocenza e della brutalità, senza irreali passaggi bruschi ma con le sfumature necessarie alla creazione di un percorso credibile (lo stesso non si può dire di Elli Tringou, la spalla femminile). Solo lui con quel fisico, quei capelli e quel portamento riesce a rendere concreta la storia terrificante di un uomo che cede a tentazioni comuni a molti altri, se non proprio ad annunciare cosa accadrà, prima ancora che la trama lo affermi.
Una storia che poteva diventare una commedia, poteva essere un film struggente o uno dell’orrore, nelle mani di Papadimitropoulos e Papadimitriou (cognomi simili ma nessuna relazione) è un viaggio personalissimo arricchito da una partecipazione che non può non contagiare anche il pubblico.