[TFF34] La Loi De La Jungle, la recensione

Demenziale come nulla che abbiate visto, La Loi De la Jungle conferma che nonostante l'inconstanza Peretjatko è un talento da non perdere di vista

Critico e giornalista cinematografico


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Può un film dal ritmo incoerente, pieno di falle, cadute e anche un filo di noia essere memorabile? Antonin Peretjatko sfida ogni buonsenso e ogni regola scritta con i suoi film e ancora una volta impone un “sì” a questa domanda.
Già La Fille Du 14 Julliet, passato a Cannes, aveva impressionato per la furia anarchica e l’umorismo surreale che sapeva mettere in campo anche se solo a tratti (era la storia di una coppia di amici che partono in vacanza per la festa della presa della Bastiglia ma il governo, causa crisi, revoca tutte le vacanze e in quello stesso giorno tutti devono rientrare per ricominciare a lavorare o andare a scuola), ora La Loi De La Jungle conferma i lampi di genio dell’umorismo di questo regista all’interno di film non sempre brillanti al 100%.
Per chiunque altro sarebbe un disastro ma in Peretjatko i lampi sono così luminosi da giustificare anche i bassi.

La sua furia materializza un umorismo demenziale ad un livello che il cinema americano non osa immaginare (uno che spacca in due non solo le singole scene ma la forma stessa del film e mette davvero alla prova ogni possibile logica) e quello europeo non ha mai saputo imitare, stavolta si concentra sulla Guinea Francese. Il protagonista vince un bando di collaborazione con lo stato e ovviamente è preso come stagista (“D’estate tutta la Francia è in mano agli stagisti!”) e spedito in Guinea Francese a supervisionare la costruzione di un ambizioso progetto: Gui-neve, un impianto sciistico al chiuso. Arrivato in loco troverà il nulla, l’inferno di umido e animali esotici e si perderà nella giungla con una donna (anch’essa stagista). C’è sempre del resto la peregrinazione con una bella donna nei film di Peretjatko, e questa è sempre Vimala Pons, leggera e pesante al tempo stesso, sensuale e demenziale, gambe armoniose e volto capace di far ridere, con lei è sempre amore e sesso che emerge dal casino, dall’insulso accumularsi di situazioni insensate, dall’anarchia che regna nei film di Peretjatko che si sposano con il desiderio di un’altra persona con cui sentirsi meglio.

Le frasi fatte della politica “La Guinea È la Francia!”, le assurde imposizione dell’Unione Europea, il selvaggio imporsi delle bestie della foresta sulle misere costruzioni degli uomini, questo lento cedere ad una natura che i protagonisti come scemi si illudono di dominare ma nei fatti non riescono nemmeno a scalfire finendone soggiogati, sono tutte cause che scatenano un umorismo difficile da spiegare e indispensabile da guardare. Peretjatko qui lavora a contatto con ogni tipo di animale, li coinvolge, li fa stare con gli attori, li fa entrare e uscire dalle scene come se recitassero (c’è un’iguana che scivolando sul pavimento entra in scena senza un perché, nel silenzio generale che rischia di uccidere dal ridere). In difficoltà con le gag verbali ma letteralmente incredibile quando agisce su montaggio interno, entrate ed uscite dei personaggi e tempi comici, per non dire nella capacità di generare immagini assurde ma piene di senso (la Marianna nella foresta, il modellino del ponte risucchiato dall'aspirapolvere, i postumi della riunione...) questo secondo film di Peretjatko conferma un talento comico e una personalità sovversiva come se ne sente parlare solo nei libri di storia del cinema.
È lui la prova che la comicità è davvero un’arte attraverso la quale far riflettere per paradossi. Che poi non tutto il film regga il ritmo indiavolato che questo regista ambizioso pensa di potergli imporre diventa un dettaglio.

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