[TFF34] Les Derniers Parisiens, la recensione

Un noir che sembra non volerlo essere, Les Derniers Parisiens racconta benissimo il piccolo mondo di due fratelli a Pigalle, tra rimpianto e aspirazione.

Critico e giornalista cinematografico


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Dietro Les Derniers Parisiens c’è una realizzazione rapidissima, svelta e senza fronzoli, ad opera di due esordienti nel cinema ma non nello spettacolo: il duo hip hop Le rumeur. Molto appare come improvvisato ed ha una qualità istantanea e calata nel proprio tempo che è subito evidente anche a chi non è mai stato a Parigi o sa niente di cosa accada lì.
Nel film l’hip hop non c’è, la musica proprio non c’è se non ogni tanto mentre esce da qualche locale o radio, poco o niente, Les Derniers Parisiens è un film su due fratelli, uno è appena uscito di galera, l’altro è rimasto a gestire un bar (aperto con i soldi sporchi del primo). Uno è arrabbiato e vuole conquistare, avere e possedere, l’altro è rassegnato e vuole solo una vita tranquilla.

Ho trovato una foto della vecchia squadra di calcetto, te la ricordi? Eravamo in 14, ho contato quelli ancora vivi. Siamo 5. Cinque!” arriva verso la fine questa battuta che senza troppa enfasi dice molto di quel che c’è da dire su questo film meraviglioso che unisce rimpianti a voglia di vivere il presente. Il tono crepuscolare messo in piazza per far interagire mezze tacche e grandi vecchi sta tutto lì. Ed è fantastico.
Mentre il fratello minore vorrebbe rilanciare il bar, entrare nel giro grosso, fare eventi importanti, guadagnare e farsi un nome nel quartiere di Pigalle (di fatto ambizioni da gangster), il maggiore è davvero stanco e non vuole niente di tutto ciò, è solo pieno di risentimento silenzioso. Su entrambi incombe un film noir che non parte mai. Les Derniers Parisiens infatti, nonostante abbia le atmosfere del polar e del poliziesco (per essere precisi ha quella sensazione che la notte per i personaggi sia quello che il giorno è per le persone comuni) non ne vuole averne mai l’intreccio, come se amasse tutto del genere tranne le sue storie.

E dire che comunque ne accadono di cose ai fratelli, sia separatamente che insieme, un misto di violenza e sentimenti blandamente manifestati che portano a riconciliazioni incredibili per clamore (nessuno) e sorpresa. Bourokba e Labitey sembrano guardare al cinema di Mia Hansen Love, desiderano moltissimo narrare un piccolo mondo stretto tra quattro vie e i soliti nomi, uno che flirta intimamente con il crimine a livelli bassissimi ma dotato di una grandissima dignità, pieno di turisti e francesi di seconda generazione, come se i parigini veri non ci fossero più. I personaggi non sono il fine ma un pretesto, l’intreccio non è il centro della loro attenzione ma uno strumento per riprendere strade e locali, buttafuori e amici che non lo sono. Una volta finito è difficile non tornare a pensarci.

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