TFF 32 - Cold in July, la recensione

Non ci sono i cavalli ma lo stesso, da metà, Cold in Juy si guadagna lo statuto di western a tutti gli effetti

Critico e giornalista cinematografico


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È lineare e molto semplice Cold in July: c'è uno strano caso di omicidio che apre il film e coinvolge un ignaro corniciaio, la temuta vendetta dei parenti del morto e la polizia che cerca di proteggere il suddetto corniciaio. Tutto secondo le regole. Solo che in questa storia di stati del sud si inserisce il torbido e già dopo un terzo della durata la frittata si rivolta, quasi nessuno (corniciaio escluso) è quel che sembra e a metà film saremo ormai da tutt'altre parti, le alleanze saranno completamente diverse, entrerà in scena un fenomenale detective privato/allevatore di maiali interpretato da Don Johnson e il film diventerà un clamoroso vengeance movie.

Se dovessimo dare una motivazione sola per vedere questo film di Jim Mickle tratto da un racconto di Lansdale è il rigore dei sentimenti da western che si intravede dietro una spessa coltre di virilità, la dura scorza che non nasconde ma anzi esalta l'umano. Allo spaesato Michael C. Hall, che passa tutta la storia a chiedersi cosa ci faccia lì dove si trova e fino a dove sia disposto ad inoltrarsi, fanno da contraltare le colonne Sam Shepard e Don Johnson, i veterani dalle viscere di ferro che troppe ne hanno viste ma che nella loro lunga vita gli toccava anche di vedere questa, la più clamorosa di tutte.

C'è per tutto il film, che, lo diciamo chiaramente, al netto di tutto il bene che gli si può volere e gli si vuole non è un capolavoro stellare, la netta impressione che la violenza si annidi ovunque, possa penetrare nelle vite delle persone senza che nessuno se ne accorga, che risieda nelle case dei vicini come sotto il proprio tetto e che anche la vita più tranquilla alla fine non possa dirsene al sicuro. Il tema eterno del western virile, quello delle cristalline virtù virili incarnate da uomini-simbolo, si forma sotto i nostri occhi. I personaggi non nascono e probabilmente nemmeno moriranno da eroi di questo West senza cavalli, arrivano a diventarlo per esigenza personale e con tutta probabilità smettono di esserlo con i titoli di coda.

Contemporaneamente (e forse qui sta la vera presa della trama) c'è anche la sensazione romantica della possibilità di battersi contro tutto e contro tutti per un'insopprimibile esigenza di giustizia. La stessa che impedisce al pavido protagonista di assistere inerme alla morte di chi lo minaccia quando un treno in corsa lo sta per travolgere e la stessa che spinge il terzetto finale ad un'impresa da mucchio selvaggio per salvare degli sconosciuti e punire dei conosciuti.

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