TFF 35 - Revenge, la recensione
Tutto addosso a Matilda Lutz, Revenge è un film che passa realmente da rape a revenge, trasforma la protagonista e il nostro sguardo su di lei con il sangue
Con un manicheismo quasi indispensabile nella prima parte, l’esordiente Coralie Fargeat introduce i 4 personaggi base: 3 maschi a diverso grado di istinto predatore e una donna, Matilda Lutz, completamente oggettificata, corpo sessuale senza nessuna personalità, a suo agio con l'etichetta che il film e gli altri le danno, impermeabile ad ogni complessità. La violenza che scatena il film la cambia e tramite il dolore e una quantità impressionante e irreale di sangue diventa altro. Letteralmente ritornata dalla morte e in mezzo al deserto, allucinata da un peyote preso per non soffrire, marchiata a fuoco con lo stemma di una birra, Matilda Lutz assume il character design di un'eroina dei fumetti, si arma e parte alla caccia.
Eppure la distanza dai molti altri film sul genere la segna non solo tramite la convinzione di tutti e 4 gli attori (Matilda Lutz in primis, fa bene ripeterlo per scacciare dalla testa di chiunque il personaggio che aveva in L'Estate Addosso di Muccino) ma soprattutto attraverso la capacità di Fargeat di lavorare sulle proprie immagini ed usarle per segnare il passaggio da rape a revenge, da scenario sessuale a scenario di sangue, sottolineando che quel sangue e quella violenza che ora vediamo erano lì anche all'inizio. Ad esempio quando il salotto della grande casa è teatro di uno scontro violento si riempie di sangue ma l'idea è che prima, quando era lindo e pinto, non fosse un luogo meno violento. Tutto infatti nel film si trasforma da strumento di svilimento della donna a strumento di sua esaltazione, addirittura anche l'esasperato luogo comune pronunciato a vivavoce "Women always have to put up a fight", diventa una frase di trionfo da che sarebbe uno stereotipo.