TFF 35 - Lorello e Brunello, la recensione

La campagna, la coltivazione, il lavoro, la fatica, Lorello e Brunello racconta tutto questo cercando di non dimostrare ma di mostrare

Critico e giornalista cinematografico


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Il terzo documentario di Jacopo Quadri (solo il secondo diretto da sé) è, strano a dirsi per la scena documentaristica italiana contemporanea, intento quasi solo a documentare. Lorello e Brunello cerca lo sguardo più asettico possibile (se è possibile), non legge le immagini, non mostra empatia verso personaggi o ambienti, non cerca la calligrafia, non ama la natura come Olmi, non ha una distanza critica, né un’adesione politica, non ha nemmeno un coinvolgimento umano in storie che non sono vere e proprie “storie” ma piccoli quadretti di alcune vite contadine. Non c’è nemmeno ironia. Solo la documentazione.

Lorello e Brunello ha al centro i due fratelli che danno il titolo al documentario, gemelli ma non omozigoti, di cui non scopriamo molto se non che vivono assieme alla sorella e coltivano la terra. Quadri li guarda tanto come agricoltori che come meccanici, intenti a stare con gli animali come con le macchine in costante stato di riparazione. A scandire il film sono le 4 stagioni, un anno con i due gemelli in costante difficoltà economica che si lamentano di come accanto a loro gli altri poderi prosperino. Intorno a loro un esercito le vicine di terreno, anziane signore che rimpiangono di non aver lavorato meno e goduto più della propria vita.

In un campionario di gesti e giornate che scorrono uguali a se stesse, lavorando per pochi spiccioli, in quello che il film mostra essere come il trionfo di una schiavitù senza padroni (i due fratelli sono padroni dei propri poderi), Lorello e Brunello lavorano senza sosta.
Jacopo Quadri è uno dei più grandi montatori italiani in attività, ha tagliato tra gli altri i film di Bertolucci, Virzì, Martone e quelli di Gianfranco Rosi. È evidente che il suo ultimo film sia pensato per essere montato, che abbia proprio nella scansione delle scene, nel loro affiancamento e nelle soluzioni di giustapposizione la parte migliore, più vitale. Ma è anche evidente quanto debba al cinema (che ha contribuito a creare) di Gianfranco Rosi.

Per quanto rifiuti lo svolgimento simil-finzionale di Rosi, Lorello e Brunello sembra adottare le sue medesime tecniche, il medesimo rapporto di invisibilità con i soggetti ripresi, la medesima fotografia naturalista, la medesima voglia di diventare parte di una comunità per raccontarla e le medesime “fughe” dal soggetto principale inseguendo le anziane del luogo.
Lorello e Brunello però non riesce a trovare nelle sue distanze e differenze dal modello Rosi un senso autonomo. È chiaro che il lavoro e la fatica sono ciò che lo attrae di questi personaggi, ma è anche evidente che la maniera in cui mostra, non riesce a dimostrare molto. L’interesse entomologico per i contadini si misura nella cronaca di una vita di lavoro. E basta.

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