TFF 35 - Blue Kids, la recensione

Due fratelli legatissimi che hanno deciso di smettere di subire e di reagire, in qualche maniera. Blue Kids è un film difficilissimo realizzato in maniera impeccabile

Critico e giornalista cinematografico


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Che in poche scene iniziali, tra un furto e un funerale, già sia possibile capire che i due protagonisti non sono amanti ma fratelli, dice molto sulla capacità di Blue Kids di parlare al pubblico da subito solo con le immagini. Fratello e sorella, che potrebbero anche essere gemelli per come sono uniti, si stanno vicini e si intendono, rubano in chiesa e di nascosto si provocano le lacrime per farsi vedere commossi al funerale materno che in realtà non li tocca per nulla. Non danno confidenza a nessuno se non all’altro, vivono in un mondo loro con obiettivi loro e intenzioni loro che nessuno pare conoscere. Vogliono i soldi dell’eredità e non ci mettono molto a chiederli al padre, il quale assieme al notaio mette bene in chiaro che non li avranno, nemmeno un centesimo. Andassero a lavorare. Come se questo fosse l’ultimo di una serie di insulti la decisione successiva arriva immediatamente e senza dubbi, di nuovo non verrà detta ma sarà chiara: ucciderlo.

Parte così il viaggio dei due verso un’autonomia dalla propria famiglia la cui necessarietà è palese. Solo apparentemente finalizzata al denaro, in realtà sembra frutto di una pressione ormai insostenibile che affonda le radici nel passato. I due sono però uniti come raramente abbiamo visto al cinema, e il loro senso di identità, come fossero una persona sola, come si intendessero senza parlare, è lo spettacolo vero di Blue Kids: un legame tra il morboso e l’indispensabile che non ha nulla di vitale e tutto di mortifero, ma lo stesso suona sentimentale.

Per raccontare tutto ciò Andrea Tagliaferri non si allontana troppo dall’idea di film di Matteo Garrone, a cui ha fatto da assistente alla regia per anni. In Blue Kids la componente più devastante sono infatti i corpi dei due protagonisti, sempre con i medesimi abiti e quasi “disegnati” per come il loro look diventa fondamentale nel descrivere il carattere. Volti particolari e attraenti (specie lei Agnese Claisse, una vera scoperta: personalità calamitante, espressioni imprevedibili, volto perfetto per riassumere il personaggio con una cicatrice sul volto e occhi chiarissimi). Accanto ai corpi ci sono i luoghi, inediti (è girato a Faenza) inquadrati in una festa di pieni e vuoti, di inquadrature strettissime sulle facce e le nuche, unite a rare aperture improvvise su spazi vasti che sono in grado di cambiare il tono della storia.
Blue Kids è insomma un esordio come non capita spesso di vedere, un film pieno con un finale bellissimo, così asciutto ed essenziale da durare meno di 75 minuti.

Come in L’Imbalsamatore il sesso legherà due ad altri complici alla vicenda, altre vittime che entrano nell’orbita dei protagonisti e sono attratti sessualmente nel crimine. Diversamente da quel film però non sarà quello il punto di arrivo, qui è qualcosa di più indefinito, è la motivazione che spinge questi due irrisolti a fare quel che fanno con l’atteggiamento che hanno. Falsissimi e incapaci di mostrare sentimenti, i due sono la personalizzazione di inquietudini e di un senso di opposizione alle proprie radici tangibilissimo. Radicali nelle scelte e negli assoluti, di poche parole ma capaci di sciogliere con una canzone cantata nella scena più bella del film, questi due ragazzi senza nome potevano esistere solo in un film così, che non sceglie la via più facile, quella della rabbia, ma trasforma il livore in calma. Blue Kids, con questo titolo da animazione giapponese, riesce a non giudicare le azioni ingiustificabili ed è così imparziale da incuriosirsi delle motivazioni che vi sono dietro di esse, finendo per scoprire cose che gli altri film sembrano nemmeno sapere di poter cercare.

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