TFF 35 - Blue Kids, la recensione
Due fratelli legatissimi che hanno deciso di smettere di subire e di reagire, in qualche maniera. Blue Kids è un film difficilissimo realizzato in maniera impeccabile
Parte così il viaggio dei due verso un’autonomia dalla propria famiglia la cui necessarietà è palese. Solo apparentemente finalizzata al denaro, in realtà sembra frutto di una pressione ormai insostenibile che affonda le radici nel passato. I due sono però uniti come raramente abbiamo visto al cinema, e il loro senso di identità, come fossero una persona sola, come si intendessero senza parlare, è lo spettacolo vero di Blue Kids: un legame tra il morboso e l’indispensabile che non ha nulla di vitale e tutto di mortifero, ma lo stesso suona sentimentale.
Blue Kids è insomma un esordio come non capita spesso di vedere, un film pieno con un finale bellissimo, così asciutto ed essenziale da durare meno di 75 minuti.
Come in L’Imbalsamatore il sesso legherà due ad altri complici alla vicenda, altre vittime che entrano nell’orbita dei protagonisti e sono attratti sessualmente nel crimine. Diversamente da quel film però non sarà quello il punto di arrivo, qui è qualcosa di più indefinito, è la motivazione che spinge questi due irrisolti a fare quel che fanno con l’atteggiamento che hanno. Falsissimi e incapaci di mostrare sentimenti, i due sono la personalizzazione di inquietudini e di un senso di opposizione alle proprie radici tangibilissimo. Radicali nelle scelte e negli assoluti, di poche parole ma capaci di sciogliere con una canzone cantata nella scena più bella del film, questi due ragazzi senza nome potevano esistere solo in un film così, che non sceglie la via più facile, quella della rabbia, ma trasforma il livore in calma. Blue Kids, con questo titolo da animazione giapponese, riesce a non giudicare le azioni ingiustificabili ed è così imparziale da incuriosirsi delle motivazioni che vi sono dietro di esse, finendo per scoprire cose che gli altri film sembrano nemmeno sapere di poter cercare.