[TFF 34] Sully, la recensione
Una delle più grandi odi alla forza della determinazione silente di tutto il cinema di Eastwood. Peccato solo che Sully perda di vista il vero scontro
L’incidente che dura solo 208 secondi lo vediamo più volte, quasi sempre con un po’ di dettagli in più per non rendere noiosa la riproposizione di qualcosa di cui, già prima di vedere il film, conosciamo l’esito. Lo vediamo nei ricordi e nelle ricostruzioni ed è davvero forte come in un film in cui un professionista è messo sotto accusa per quel che ha fatto (o non fatto), ad ogni riproposizione degli eventi siamo portati naturalmente ad apprezzare sempre di più quel suo atteggiamento. Addirittura nell’ultima visione, la terza o quarta per noi, Eastwood ci porta per mano a concludere anche noi (che probabilmente già eravamo tutti persuasi della tesi finale) che si è trattato davvero di qualcosa di mirabile.
Peccato allora che il grande scontro che fa da sezione ritmica del film, quello dopo l’incidente tra Sully e la compagnia aerea che per non perdere soldi vuole dimostrare la negligenza del pilota (avrebbe potuto atterrare in un aeroporto vicino, sostengono), diventi una banale contrapposizione tra computer e uomo. L’analisi basata sui dati in loro possesso dicono che il tempo di fare altro c’era, Sully e il suo istinto di vecchia volpe sanno che non è così. Le simulazioni fatte con altri piloti mostrano che effettivamente si poteva atterrare altrove, ma questi hanno la possibilità di provare più volte e sanno già che accadrà, Sully ha deciso tutto in un attimo. E alla fine quasi attesa arriva la frase: “La realtà non è un videogame!”, pietra tombale su una dicotomia che poco o nulla ha a che vedere con questa storia. Peccato perché distrae da uno scontro ben più pregnante e succoso presente nel film, quello tra individuo e corporation, tra un sistema (economico) che necessita di una vittima per preservare i guadagni e un altro sistema (mediatico) che necessita di mitologia, di un “eroe” da mostrare e di cui parlare, con il quale riempire gli occhi del pubblico per giorni.