TFF 32 - Violet, la recensione

Il secondo film del Concorso del Torino Film Festival è il belga Violet del trentunenne Bas Devos. Alienazione giovanile diretta con grande classe

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Il giovane regista belga classe 1983 mette le carte in tavola fin dall'inizio del suo affascinante ma leggermente già visto Violet.
L'omicidio cui assisteremo all'interno di un centro commerciale è visto attraverso le camere di sorveglianza, quando l'addetto alla stanza dei monitor si è assentato. Diciamo che nemmeno Brian De Palma sarebbe stato così glaciale.
L'approccio di grande distanza psicologica continuerà anche dopo e riguarda la distanza della macchina da presa dalla mente, più che dal corpo, del protagonista del film Jesse, l'adolescente biondo che del morto era amico e del morto ha visto gli ultimi atti di vita senza poter fare più di tanto. Qualcuno nella sua cerchia lo accuserà per questo di essere un vigliacco. L'omicidio? Una rissa non chiara tra ragazzini in cui abbiamo visto chiaramente (ma solo noi) chi è l'assassino per via del suo strano taglio di capelli.

Ecco il secondo film del Concorso del Torino Film Festival 2014: elaborazione del lutto tra adolescenti con grande distacco da parte del regista belga Bas Devos, qui al suo esordio nel lungometraggio.

Uno potrebbe pensare a un Gus Van Sant folgorato sulla via di Béla Tarr (regista ungherese che influenzò il regista di Genio ribelle - Good Will Hunting e Milk da Gerry del 2002 a Paranoid Park del 2007) e sicuramente l'alienazione giovanile, gli eterni silenzi,  l'abisso che distanzia il mondo degli adulti, le parole che non significano niente e i lunghi piani sequenza non possono non far pensare alla Palma d'Oro di Van Sant Elephant (2003).
Ma Devos aggiunge un pizzico di estetica in più e grazie a primi piani così insistiti e carichi di effetti di luce da ricordare la ritrattistica e bellissime inquadrature delle biciclette (Jesse è un ciclista acrobatico e il movimento costante della sua bici entra in contrasto con il blocco psicologico che sta vivendo in silenzio), il suo Violet finisce per essere un'esperienza di 82' che si lascia guardare con grande piacere anche se la sceneggiatura è quanto di più banale e già visto.
Eppure questo belga sa girare e quando riprende Jesse e i suoi amici che procedono lentamente a bordo delle loro bici per le placide strade asfaltate del loro quartiere residenziale (potrebbe essere America), sembra di vedere un gruppo di moderni cowboy calpestare con indolente virilità il suolo di sconfinate praterie del West in sella a due ruote piuttosto che a destrieri sellati.

Anche la sequenza finale è di impressionante precisione ed eleganza registica.
Quindi, conclusione: niente di nuovo sul fronte dell'alienazione giovanile e sull'elaborazione del lutto da parte di un'età così problematica (già fanno fatica gli adulti, pensate i teenager) ma viva una regia così sexy e accattivante da farti pensare che Devos in fondo pensi che il mondo sia comunque un luogo meraviglioso e bellissimo da riprendere con una camera digitale. A ben pensarci era la stessa conclusione cui si giungeva dopo Elephant di Van Sant.
Lì giovani assassini che andavano improvvisamente a turbare un paradiso in terra fatto di prati verdi e famiglie idilliache.
Qui giovani assassini che rovinano le evoluzioni perfette di biciclette che saltano letteralmente in aria nei boschi mentre una nebbia improvvisa potrebbe inghiottire tutto questo mondo così bello e leggermente addormentato.

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