TFF 32 - The drop, la recensione [2]

Da un team che conosce bene il cinema criminale non poteva non uscire un film dal tono perfetto come The drop, peccato sia tanto centrato quanto insipido

Critico e giornalista cinematografico


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C'era attesa per l'ultimo (stavolta davvero!) film con James Gandolfini e contemporaneamente il nuovo scritto da Dennis Lehane, due autorità della narrativa criminale. The Drop mette un bar usato dalla mafia per ripulire il denaro al centro di una disputa umanissima. Ci sono i due cugini gestori, di cui uno vuole rapinare il suo stesso bar per prendere i soldi della mafia e l'altro, ignaro e un po' più lento, che rivela un particolare determinante sul rapinatore alla polizia, ci sono i ceceni (con i quali non si scherza) e non ultimo un pesce piccolissimo che si crede grosso e ha deciso di dimostrare al cugino lento che deve portargli rispetto sottraendogli il cane (che in precedenza era suo) e la sua ragazza (che in precedenza era la sua), tutto nella notte del Super Bowl, quella in cui il bar lavora più che in tutto l'anno (legittimamente e non).

A parte le consuete svolte inattese, The drop sembra non mancare nessun appuntamento con il cinema di crimine e ovviamente (visto anche chi è che scrive) dimostra di conoscerne ambientazione, registro, caratteri e toni. Sarebbe però più che lecito aspettarsi qualcosa di più strutturato rispetto a questo showcase di personaggi noti, presi in una trama intrecciata quel poco che basta per agitare i consueti elementi (desiderio di rivalsa, passati torbidi, vita pericolosa...).

Se il cinema di crimine ha un pregio è quello di rinnovare il piacere per l'esigenza di prendere decisioni dure, mettere le persone davvero a contatto con la possibilità concreta della morte e quindi costringerle a prese di posizione estreme che trasformano qualsiasi diatriba in una questione fondamentale.

In The Drop non c'è nulla di tutto ciò. Con il medesimo impianto e le medesime svolte Cronenberg aveva fatto A History of Violence, dimostrando che l'importante non erano (per l'appunto) queste regole e questi personaggi (o queste svolte) ma la maniera in cui raccontarle e metterle in immagini riuscendo a dire qualcos'altro.
Va così sprecata l'ennesima prestazione minuziosa e fisica di Tom Hardy come anche la storia che si porta appresso il corpo pesante di Gandolfini (possiamo fare finta di non sentire l'eco di Tony Soprano?) in una storiella esile esile con finale a sorpresa, buona per essere un racconto breve come del resto in origine era.

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