TFF 32 - La teoria del tutto, la recensione
Con ben poco realismo e un'inclinazione alla poesia decisamente poco raffinata La teoria del tutto sembra desiderare solo la commozione del pubblico
L'uomo, abbastanza noto per essere duro, irascibile e poco incline a farsi scrupoli, diventa la più ovvia delle maschere di bontà e correttezza, di idealismo e tenacia. Nelle due ore di La teoria del tutto cade e si rimette in marcia così tante volte e con così tanta musica a sorreggerlo che quando per una sua proiezione onirica addirittura si alzerà dalla sedia a rotelle la cosa non stonerà nemmeno troppo.
Indirizzato a ragionieri in vena di poesia o inguaribili sognatori, La teoria del tutto di certo non racconta Hawking, tantomeno la ferocia di un certo ambiente universitario ma purtroppo (e forse questa era l'unica cosa che davvero era lecito aspettarsi) nemmeno l'enorme dedizione dietro alle scoperte cui è giunto l'astrofisico o la sete di conoscenza che ne ha animato l'incredibile vita. Perchè per una volta la vita in questiona aveva realmente quelle caratteristiche di eccezionalità che spesso mancano alle biografie selezionate per diventare film. È però impossibile rintracciare in quegli alti e bassi o in quelle svolte clamorose il caos che domina le vite di tutti o anche la semplice alternanza di giustizia e ingiustizia (la maniera in cui ognuno subisce le macchinazioni della sorte ed è costretto a farvi fronte). Come se un velo di gentilezza rappresentato dal sole sempre al tramonto che illumina i volti dei personaggi oscurasse ogni lato magro del vivere, come se qualcuno avesse levato le grandi indecisioni o le svolte sofferte da ogni snodo narrativo.