TFF 32 - La teoria del tutto, la recensione

Con ben poco realismo e un'inclinazione alla poesia decisamente poco raffinata La teoria del tutto sembra desiderare solo la commozione del pubblico

Critico e giornalista cinematografico


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Non sarà contento fino a che non avrà fatto tutto quanto è in suo potere per strapparvi fino all'ultima lacrima La teoria del tutto, non si fermerà di fronte a nessuna ruffianeria, non esiterà a santificare chiunque o regalare un ralenti enfatico ad ogni personaggio che orbita intorno alla vera (?) vita di Stephen Hawking, almeno per come l'ha raccontata la sua prima moglie nel libro Travelling to infinity: My life with Stephen. Il grande fisico che ha studiato il tempo come e quanto nessuno prima di lui, diventato molto noto anche in virtù della malattia che prima gli ha impedito quasi tutti i movimenti (eccezion fatta per pochi muscoli delle mani) e poi a causa dell'incidente che gli è costato la voce, senza che questo intaccasse la sua determinazione nello studiare il mondo, è il soggetto non di uno studio sulla personalità o sulle assurdità della vita ma di una lode alla buona volontà con non pochi echi cristiani.

L'uomo, abbastanza noto per essere duro, irascibile e poco incline a farsi scrupoli, diventa la più ovvia delle maschere di bontà e correttezza, di idealismo e tenacia. Nelle due ore di La teoria del tutto cade e si rimette in marcia così tante volte e con così tanta musica a sorreggerlo che quando per una sua proiezione onirica addirittura si alzerà dalla sedia a rotelle la cosa non stonerà nemmeno troppo.

Questa delicata agiografia tutta giacche di tweed e understatement britannico è stata affidata a James Marsh, il quale si è trasformato e ha nascosto tutte quelle spigolosità che avevano reso Man on wire, Project Nim e Shadow Dancer (ma anche il suo episodio della miniserie tv Red Riding) dei gioielli. Dal canto suo Eddie Redmayne imita, risplende alla luce del sole ed è molto bravo nel ricalcare il manuale delle interpretazioni mimetiche, assumendo diverse variazioni della medesima espressione di tenacia e serena distensione sia quando parla di universo che quando dimostra d'essere un tenerissimo nerd impacciato con le questioni sentimentali.

Indirizzato a ragionieri in vena di poesia o inguaribili sognatori, La teoria del tutto di certo non racconta Hawking, tantomeno la ferocia di un certo ambiente universitario ma purtroppo (e forse questa era l'unica cosa che davvero era lecito aspettarsi) nemmeno l'enorme dedizione dietro alle scoperte cui è giunto l'astrofisico o la sete di conoscenza che ne ha animato l'incredibile vita. Perchè per una volta la vita in questiona aveva realmente quelle caratteristiche di eccezionalità che spesso mancano alle biografie selezionate per diventare film. È però impossibile rintracciare in quegli alti e bassi o in quelle svolte clamorose il caos che domina le vite di tutti o anche la semplice alternanza di giustizia e ingiustizia (la maniera in cui ognuno subisce le macchinazioni della sorte ed è costretto a farvi fronte). Come se un velo di gentilezza rappresentato dal sole sempre al tramonto che illumina i volti dei personaggi oscurasse ogni lato magro del vivere, come se qualcuno avesse levato le grandi indecisioni o le svolte sofferte da ogni snodo narrativo.

Alla fine quindi quel che rimane sono lodi, applausi, pianti di gioia, dichiarazioni d'amore e un trionfo di figli che giocano (al tramonto) con musica che cresce.

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