TFF 32 - A Second Chance, la recensione

Susanne Bier al Torin Film Fest con il dramma sulla paternità A second chance interpretato da Nikolaj Coster-Waldau. Discontinuo ma potente

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Neonati scambiati in culla. Abbiamo visto parecchi film con questo potente escamotage narrativo.
In chiave di commedia (Il 7 e l'8 con Ficarra e Picone), tragicommedia (è un sospetto che brucia in Toto le héros - Un eroe di fine millennio di Jaco van Dormael), dramma politico (Il figlio dell'altra Lorrain Lévy; quando nello scambio sono coinvolti israeliani e palestinesi... la faccenda si può fare pesantuccia) e dramma sociale (Father and Son di Hirokazu Koreeda).
Susanne Bier fa partire in quarta la regia numero quattordici A Second Chance (sezione Festa mobile al Torino Film Fest) e fa scattare lo scambio non in culla ma poco dopo. Quando i bebè sono usciti dall'ospedale ed entrati nelle case dei genitori. Ma si tratta di due case, e due famiglie, molto, molto diverse.

La tensione esplode quando il poliziotto perbene danese Andreas si accorge una notte della morte improvvisa del figlio e sceglierà di prendere una decisione senza via di ritorno.
Di fronte a una moglie già piuttosto problematica che dice del piccolo cadavere: "Se ce lo vengono a prendere io mi ammazzo!", Andreas (Nikolaj Coster-Waldau) osserva attentamente la consorte, giunge alla conclusione di prendere sul serio la sua minaccia (avevamo già visto lei soffrire di attacchi d'ira ai limiti della follia) e ha un'idea così estrema da essere l'unica via di uscita in una situazione del genere: sostituire suo figlio morto con quello vivo di un tossico violento incontrato per caso quel giorno stesso.

Di mattina infatti, in compagnia del collega poliziotto divorziato e beone Simon (Ulrich Thomsen), Andreas aveva visitato l'antro marcio della vecchia conoscenza Tristan (Nikolaj Lie Kaas), drogato bestiale e violento con moglie prostituta da picchiare e figlio neonato da ignorare e lasciare piangere completamente ricoperto dalle sue stesse feci.
E torniamo al dilemma di Andreas: perché accettare di aver perso suo figlio in un solo inesplicabile attimo (la scena della morte è straziante) e invece permettere a Tristan di crescere in modo orribile una creatura innocente? "Non è giusto", lo vedremo e sentiremo ripetere. Quella notte fatidica il poliziotto tornerà nella casa del tossico, entrerà in punta di piedi, lascerà suo figlio morto nei panni sporchi del pargolo maltrattato e porterà via il bimbo sporco della propria cacca verso la sua bella dimora di campagna.
E se alla moglie non bastasse? E se qualcuno si accorgesse dello scambio?

I primi trenta minuti di A Second Chance sono una serie di pugni nello stomaco che la regista premio Oscar per In un mondo migliore (2010) gestisce in modo perfetto. E' un primo atto devastante, durissimo, cinematograficamente perfetto.
Poi, dopo lo scambio, la pellicola peggiora. Ma non era per niente facile mantenere credibile questo spunto shock senza che il tutto risultasse inverosimile agli occhi dello spettatore.
Scatteranno indagini, sospetti, un gioco al massacro tra Andreas e sua moglie. Mano a mano emergerà sempre di più il personaggio di Sanne (May Andersen), la moglie tossica e prostituta di Tristan che però risponde fisicamente sempre meglio a un intorpidito instinto materno in via di purificazione da eroina e altro. Andreas ripeteva: "Non è giusto". Lei invece: "Questo non è mio figlio" guardando il corpo del povero Alexander di Andreas nei panni sporchi del suo Sofus.
"Quando muoiono sembrano sempre un po' diversi" le risponderà lo spregevole Tristan che invece nell'inganno di Andreas è caduto con tutte le scarpe ed ora pensa solo a come uscirne senza un'accusa di omicidio.
Come sempre capita con i film di questa formidabile cineasta danese, reduce in Italia dalla distribuzione della sua seconda sfortunata avventura hollywoodiana Una folle passione dopo la prima delusione Noi due sconosciuti, la recitazione richiesta agli attori è di enorme intensità. E qui cominciano a sorgere i problemi. Reggono il pathos del dramma sia i veterani Thomsen (il mitico protagonista di Festen e di Non desiderare la donna d'altri della Bier) che Lie Kass (in Non desiderare la donna d'altri era il fratello buono dello psicopatico Thomsen) mentre è una piacevolissima sorpresa la modella May Andersen come madre eroinomane in costante aumento di lucidità con il passare dei minuti.

Chi delude leggermente è lui: Coster-Waldau. Il nostro Jaime Lannister di Trono di spade ce la mette tutta ma nel terzo atto non ce la fa proprio a far uscire dal suo viso quella potenza emotiva che Mads Mikkelsen ha sempre garantito, invece, alla Bier.

E poi, sempre nel terzo atto, ci sono due errori non proprio da poco: una spiegazione medica astrusa che dovrebbe coincidere con un importantissimo colpo di scena (ma lo spettatore rischia di non capirci niente) e un'ellissi temporale che non sentiamo per via di una riproposta del corpo di Coster-Waldau troppo simile a come lo avevamo lasciato 5-6 anni prima.
Sono errori che francamente non ci possiamo più aspettare da una cineasta di questa esperienza e bravura.

Ed è veramente un peccato. Perché i primi 30' di A Second Chance sono perfetti, i secondi 30' reggono ma gli ultimi 30' affondano.
Al cinema, a differenza della vita, rischiano di non esserci più seconde possibilità.
Soprattutto per Nikolaj Coster-Waldau.
Quantomeno nel cinema drammatico europeo da esportazione quale è la sofisticata nicchia in cui lavora Susanne Bier.

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