TFF 32 - Gemma Bovery, la recensione

Il film di apertura della trentaduesima edizione del Torino Film Festival è Gemma Bovery di Anne Fontaine. Sensuale ma vuoto. Come la sua protagonista

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Il Torino Film Festival apre con Gemma Bovery, film glamour di campagna, abbastanza simpatico e parecchio vuoto.
E' tratto dalla graphic novel datata 1999 della britannica Posy Simmonds, già abile in passato con Tamara Drewe a giocare con Via dalla pazza folla di Thomas Hardy inserendolo in un contesto più moderno e sessualmente promiscuo. Stephen Frears ne trasse un film non male nel 2010.

Questa volta tocca al Flaubert di Madame Bovary, romanzo epocale dove: "Non succede niente ma allo stesso tempo è coinvolgente" come dice il panettiere leader del cast di Gemma Bovery Martin interpretato da Fabrice Luchini.

E' lui il protagonista perennemente con gli occhi sgranati (decisamente troppo per non risultare stucchevole al 200esimo primo piano così) dal cui punto di vista viviamo gran parte della pellicola diretta dall'esperta Anne Fontaine (Coco avant Chanel Two Mothers tra i suoi film più noti).
Dopo aver visto la nuova bella vicina di casa inglese tirarsi su i capelli, ecco Martin confessare in voice over: "Quel gesto insignificante aveva messo fine a 10 anni di tranquillità sessuale". Peccato che non si direbbe proprio che sia così vedendo il proseguimento del film della Fontaine. Il sessantenne Martin, infatti, non diventa mai l'acrobatico protagonista di una commedia sexy parodia dell'andropausa allorquando i suoi sensi vengono risvegliati dall'arrivo di quella procace inglese come vicina di campagna di una Normandia ricca e spensierata.
Insomma... 10 (1979) di Blake Edwards... non abita da queste parti.
Semmai tutto il film è una spiata voyeuristica di Martin, il quale, sempre con gli occhi sgranati, segue questa bella vicina inglese quasi omonima della sua eroina letteraria preferita.
Eh già... perché Martin è così fissato con Madame Bovary di Flaubert dal cominciare a trasferire nella vicina bona quasi tutte le caratteristiche, nonché azioni e afflizioni, della protagonista di quel formidabile romanzo del 1856.
Lo spunto poteva essere interessante ma forse ci voleva più Polanski che Fontaine alla regia.
Non si sente la comicità sull'andropausa e non si precipita mai nell'abisso della dissociazione mentale di Martin.
E' tutto garbato e dannatamente superficiale.
Ultimo appunto sulla Arterton, ancora una volta chiamata dopo Tamara Drewe a dare corpo a quei personaggi femminili sessualmente emancipati della Simmonds che fanno l'amore in campagna sconvolgendo i vecchi e i giovani benestanti del circondario.

La nostra Gemma (ebbene sì, l'attrice britannica si chiama come il suo personaggio) è brava e funziona quando deve fare la "sventolona" che fa salivare i maschietti di ogni età.
Non funziona affatto, purtroppo, quando il suo personaggio deve assumere un tono più profondo nella seconda parte del film. E questo perché? Perché oltre a quel corpo da favola che la Fontaine riprende bene nelle scene di sesso (c'è un capezzolo che esce fuori all'improvviso molto eccitante in una sequenza), la povera Arterton non possiede molto altro.
Il film rimane una gradevole visione che con il passare dei minuti non solo tende a svanire dalla nostra testa con la velocità della luce ma assume anche le caratteristiche di film non proprio riuscito soprattutto per non aver messo abbastanza in ridicolo il personaggio di Martin. Il quale è un panettiere ex bibliofilo veramente mai e poi mai coinvolgente. A differenza del libro che ama tanto.

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