[TFF 2013] The Repairman, la recensione

Nonostante il titolo in inglese, il film è italianissimo, piemontese. L'opera prima di un autore da seguire, il miglior esordio dell'anno per il nostro paese, senza dubbio...

Critico e giornalista cinematografico


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E' certamente in miglior esordio italiano dell'anno e finalmente si può scrivere l'abusata frase: "un cineasta da tenere d'occhio".
Paolo Mitton, ex-ingegnere, ex-effettista speciale (ha lavorato a film come Charlie e la fabbrica di cioccolato, Alien vs. Predator o Harry Potter e il prigioniero di Azkaban) e residente a Londra, ha scritto, diretto e montato, con uno pseudonimo, un film tipicamente italiano per temi e ambientazioni ma assolutamente anticonvenzionale per realizzazione.
Lo si vede dalla fotografia particolarissima di David Rom o dal montaggio che lo stesso Mitton ha impresso al film (da cui conseguono non solo un ritmo peculiare ma anche alcuni momenti stranianti in cui i tagli non sono assolutamente prevedibili), che The Repairman viene da un altro mondo o meglio da una persona che non è arrivata al cinema facendo la stessa strada degli altri.

Si racconta di Scanio Libertetti, di professione riparatore, un ragazzo che avendo una certa abilità con le macchine per guadagnare ripara quel che può. Remissivo di carattere (lo si vede anche solo da come Daniele Savoca cammina o dalla postura che dà al suo personaggio), subisce il mondo del lavoro e soprattutto gli amici che continuamente pensano di sapere cosa sia meglio per lui. Casualmente incontra e inizia una storia con una ragazza inglese.
Nulla di originale, tuttavia la maniera in cui Scanio si muove nel piccolo centro in cui vive e l'umorismo di cui il film è tempestato rendono quest'ennesima piccola odissea di un outsider un film sorprendente. C'è nelle peripezie di Scanio e nella rassegnazione con la quale le vive l'umanità dei film migliori e nonostante il tono grottesco un senso del realismo che non si vede in nessuna delle commedie o dei drammatici di cui il nostro cinema trabocca ogni anno.

Non puntava a fare il film dell'anno Paolo Mitton (e chiariamolo: non l'ha fatto), ma con questa piccola opera dimostra che un altro cinema è possibile. The repairman è aria fresca in un genere stantio, è un punto di vista radicale e che non fa sconti alla "tradizione" del cinema italiano in materia, rifiuta l'approccio più realista per seguire percorsi minimamente più visionari. Non schifa nessuno Mitton ma vedendo il suo film sembra che sputi sul resto del cinema italiano.
L'odio per chi si conforma e vuole conformare e l'odio per lo stesso Scanio (che poi non è così positivo come personaggio), l'odio per i piccoli centri ma anche l'evidente passione per i suoi ambienti, non c'è nulla di certo e definito in questo film, nessuna presa di posizione granitica ma un muoversi ambivalente che rende questa commedia (fortissima nella parte centrale, più debole nell'inizio e nel finale) un piccolo dramma umano ampiamente condivisibile.

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