Texas Killing Fields – La recensione

[Venezia 2011] Ami Canaan Mann, figlia di Michael Mann, delude qualsiasi aspettativa e firma un thriller anonimo e traballante...

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Quando un film su un serial killer è prodotto da Michael Mann e diretto da sua figlia Ami Canaan che, anche se quasi nessuno prima d’ora la conosceva (ma ha girato già un lungometraggio mai distribuito nel 2003), i lavori del papà li avrà visti tutti e qualcosa la dovrà pur avere imparata, allora è logico che le aspettative di chi si siede in sala siano piuttosto alte.

Anche perché il Festival di Venezia ha scelto di schierare in concorso il film in questione Texas Killing Fields, suggerendo quindi un’idea di autorialità che, quando si tratta di thriller, dovrebbe significare scelte registiche e narrative che si allontanano dai soliti prodotti da cassetta hollywoodiani. E invece eccoci purtroppo a commentare una pellicola piuttosto banale, ricca di voragini di sceneggiatura e incapace di scavare in quello “sporco” e paludoso Texas di cui probabilmente aveva l’ambizione di tratteggiare un crudo ritratto.

Due poliziotti sono sulla scena di un delitto. La vittima è una ragazza uccisa sul bordo di una strada. Nel frattempo, nella contea accanto, una detective è stata appena chiamata dalla centrale per andare a controllare un’auto abbandonata che si teme possa essere il luogo in cui è avvenuto il rapimento di un’altra ragazza. Si tratta di due indagini separate, il rapimento e il delitto, ma il sospetto che ci possa essere un filo che li lega è chiarissimo. Chi è che sta gettando nel terrore Texas City e le zone limitrofe?

Che in Texas gli omicidi sia singoli che seriali siano frequenti è un tema più che mai attuale ed interessante. Ogni anno decine di misteriose sparizioni avvengono in quei luoghi e la pellicola diretta dalla Mann e sceneggiata da Don Ferrarone lo sottolinea più volte inquadrando la grande mappa dello stato con le varie foto e i punti rossi di tutti i casi ancora irrisolti. Più che un film su un omicida da trovare, una lotta tra il bene rappresentato dai poliziotti e il male incarnato dai perversi antagonisti, il vero scopo della pellicola è creare il contesto intorno a cui si fondano lotte come queste, e cioè luoghi desolati dove gli uomini coltivano le proprie perversioni senza condanne né divine né terrestri. Peccato solo che la Mann non sia in grado di reggere la sfida e, nel suo alternare le due indagini, finisce con il creare soprattutto tanta confusione. Non vogliamo spoilerare, rimaniamo quindi molto, ma molto sul vago, ma quando e se vedrete questo film, tornate a rileggere le domande che seguono e aiutateci anche voi a trovare una risposta. Perché l’abbandono temporaneo del corpo e non un’uccisione immediata se il “problema” era urgente? Ma era un davvero un problema? Che fine fa il biondo? E le indagini sui vecchi casi? Perchè il nero va presso la centrale della polizia volontariamente senza avvocato quando sa bene come stanno le cose? Chi era entrato in casa della signora con il bambino e che voleva fare? Bah, bah e bah.

A mancare è poi soprattutto il mistero. Tutti i personaggi che appaiono all’inizio della vicenda sono o saranno coinvolti. C’è il rapimento che ti aspetti, ci sono i cattivi che ti aspetti e i martiri che ti aspetti. Il simbolismo cristiano è butatto lì senza convinzione così come qualsiasi discorso sulla provincia a stelle e striscie. E se Sam Worthington sembra avere fatto almeno due passi indietro a livello di carriera con questo compitino senza infamia e senza lode (un po’ sopra la media è giusto l’inseguimento con sparatoria), guardare ogni volta il volto dello scialbo Jeffrey Dean Morgan porta subito a pensare a quanto il suo "sosia" Javier Bardem avrebbe sicuramente saputo fare meglio. La sempre più lanciata e rossissima Jessica Chastain ha invece il giusto physique du rôle per vestire i panni della poliziotta dura e pura, ma il suo ruolo viene sacrificato a favore di una resa dei conti tutta al maschile.

Peccato, così come è un peccato questa intera produzione. Si vede senza noia, ma date le premesse, ci si aspettava davvero un’altra cosa.

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