Tetris, la recensione

Tra occidente e oriente, tra blocco sovietico e America capitalista si giocano i diritti di Tetris, ad un passo dal crollo dell'URSS

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Tetris, il film in uscita su Apple Tv+ il 31 marzo

Non era facile chiudere in un film di due ore la storia di come Tetris sia arrivato in Occidente passando per il Giappone con il ruolo fondamentale dell’America. Noah Pink (sceneggiatore) fa un lavoro molto complicato di semplificazione e schematizzazione delle parti in causa per rendere digeribile una storia che somiglia di gran lunga più ad una di spionaggio, fatta com’è di intrighi, sotterfugi e doppi giochi, che ad una in cui viene raccontato come qualcosa è creato e inventato. È la storia del processo di commercializzazione di Tetris e non quella della sua creazione. Per questo è complicata e per questo è così ben integrata con il momento storico in cui è avvenuta, ad un passo dal crollo dell’Unione Sovietica.

Tutto è spinto da Henk Rogers, molto ben interpretato da Taron Egerton, con occhi vivissimi, energia inesauribile e uno spirito americano anche se americano non è. Piacevole per tutti, mellifluo e pronto a comprarsi tutte le persone con cui interagisce, Rogers è un folletto del capitalismo, venditore così abile da fare breccia anche nel cuore dei burocrati mangiacapitalisti sovietici. Invece che farne un eroe d’azione (i momenti d’azione non sono pochi del resto e come nei film di spionaggio seguono lunghe fasi dialogate), Edgerton ne fa un eroe delle relazioni umane, dotato del potere di piacere.

È solo Rogers (cioè Taron Egerton) a rendere credibile la posta in gioco, cioè i soldi. Recitando su un confine sottile tra sovreccitazione e naturalismo ha la capacità di convincere il pubblico di una profonda coincidenza per il suo personaggio tra vita e successo economico, così che sia credibile che per un affare importante sia disposto a rischiare la prigione russa o la morte per mano di agenti corrotti del KGB. Il film può gonfiarsi e assumere svolgimenti anche più clamorosi e d’azione rispetto a quelli probabilmente reali perché Taron Edgerton crea un Rogers che può non avere paura di nulla pur di non farsi soffiare i soldi del successo di Tetris.

Non tutto funziona, specialmente il parallelo che verso la fine viene tracciato con il crollo del muro, implicando che la vicenda di Tetris fosse un presagio o un chiaro segno dell’imminente fine. Per fortuna però non è su quello che il film gioca realmente la sua partita. John S. Baird (regia) tiene più alla periodizzazione, alla ricostruzione d’epoca, alle transizioni con grafica 8 bit che diano vivacità ai momenti più tecnici e alla musica che viene usata per dare corpo a questa trama da Europa dell’Est. È insomma più sul gioco di gambe e il senso dell’intrattenimento di una vicenda grottesca dai contorni assurdi che coinvolge gli americani e i sovietici, nonché sull’aspetto di commedia di fatti veri che Tetris misura se stesso. E in un certo senso anche la sua buona riuscita.

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