Terraferma - la recensione

[Venezia 2011] Con il suo tocco da pittore subacqueo, Emanuele Crialese racconta in Terraferma una storia di contrasti, con una grande Donatella Finocchiaro...

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Si inizia con un’inquadratura nell’acqua, l’elemento che più simboleggia il cinema di Crialese, e si finisce sempre lì, navigando, così come solo un titolo come Terraferma potrebbe evocare.

Siamo in Sicilia, su di un’imprecisata isola che potrebbe essere Lampedusa, l’estate è alle porte così come lo sono i turisti. Le loro vacanze vanno preservate, ne và il benessere dell’isola, meglio non far trapelare all’esterno i continui sbarchi di clandestini, disperati emigranti che in questo atollo di terra pensano di trovare la stabilità per iniziare una nuova vita, ma che ben presto viene visto per quello che è, una piccola ed intermedia tappa di un viaggio che durerà ancora molto. Non è un caso se il “nonno” del film parli di “terraferma” non a proposito della propria isola, ma dell’Italia che gli sta vicina. Anche gli abitanti di questo piccolo porto sono gente in viaggio, punto d’attrazione per soli due mesi all’anno e costretti, in un futuro sempre più prossimo, anche loro a emigrare, ad andare lì dove c’è lavoro.

E’ di questi contrasti che vive lo splendido lavoro di Crialese: poveri contro uomini ancora più poveri, legge ordinaria contro legge del mare, la notte come la tana per tragedie che di giorno non potrebbero consumarsi e il pensiero degli anziani come unico elemento di novità all’interno di discorsi sempre più banalmente orientati a un benessere economico che poco ha a che fare con una morale sempre più dimenticata.

Se con Nuovomondo Crialese aveva affrontato il dramma dei nostri avi che attraversarono l’Atlantico per arrivare in una Staten Island che li accoglieva, sì, ma a malincuore, dopo mille controlli e settimane di “parcheggio”, ecco la nuova era dei viaggi della speranza, quelli che coinvolgono il singolo individuo e non l’autorità. Il dilemma è uno: aiutare il prossimo o cercare di preservare la propria quotidianità da qualsiasi rischio guardando dritti davanti a sé anche quando accanto a noi qualcuno ci tende la mano per essere salvato e non affogare?

Crialese racconta tutto questo con il suo solito tocco da pittore subacqueo, accarezzando posti, luoghi ed espressioni, onirico senza raccontare nulla di fantastico, ma dando luci, colori, musiche e punti di vista originali (bellissimi i fotogrammi del Maracaibo di Beppe Fiorello in barca) che rendono romantica e da favola anche una storia coraggiosa e drammatica come quella che ha scelto di rappresentare: si vede che la Sicilia è la sua Terra, la ama così tanto da farla amare da tutto il suo pubblico.

Il punto di vista scelto per raccontare tutto questo è quello di un ragazzo di vent’anni che potrebbe essere uno dei figli della Vittoria Golino di Respiro, ed infatti ad interpretarlo è lo stesso attore, Filippo Pucillo, che allora vestiva i panni del più piccolo della compagnia. Attraverso di lui, della sua madre vedova (una bravissima Donatella Finocchiaro), e del nonno (Mimmo Cuticchio), ecco rappresentata una famiglia di tre generazioni pronta a remare nella direzione in cui credono, nonostante tutto e tutti. E se la giuria del Festival di Venezia vorrà premiarli per questo, nessuno si sorprenderebbe.

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