Terraferma - la recensione
[Venezia 2011] Con il suo tocco da pittore subacqueo, Emanuele Crialese racconta in Terraferma una storia di contrasti, con una grande Donatella Finocchiaro...
Si inizia con un’inquadratura nell’acqua, l’elemento che più simboleggia il cinema di Crialese, e si finisce sempre lì, navigando, così come solo un titolo come Terraferma potrebbe evocare.
E’ di questi contrasti che vive lo splendido lavoro di Crialese: poveri contro uomini ancora più poveri, legge ordinaria contro legge del mare, la notte come la tana per tragedie che di giorno non potrebbero consumarsi e il pensiero degli anziani come unico elemento di novità all’interno di discorsi sempre più banalmente orientati a un benessere economico che poco ha a che fare con una morale sempre più dimenticata.
Crialese racconta tutto questo con il suo solito tocco da pittore subacqueo, accarezzando posti, luoghi ed espressioni, onirico senza raccontare nulla di fantastico, ma dando luci, colori, musiche e punti di vista originali (bellissimi i fotogrammi del Maracaibo di Beppe Fiorello in barca) che rendono romantica e da favola anche una storia coraggiosa e drammatica come quella che ha scelto di rappresentare: si vede che la Sicilia è la sua Terra, la ama così tanto da farla amare da tutto il suo pubblico.
Il punto di vista scelto per raccontare tutto questo è quello di un ragazzo di vent’anni che potrebbe essere uno dei figli della Vittoria Golino di Respiro, ed infatti ad interpretarlo è lo stesso attore, Filippo Pucillo, che allora vestiva i panni del più piccolo della compagnia. Attraverso di lui, della sua madre vedova (una bravissima Donatella Finocchiaro), e del nonno (Mimmo Cuticchio), ecco rappresentata una famiglia di tre generazioni pronta a remare nella direzione in cui credono, nonostante tutto e tutti. E se la giuria del Festival di Venezia vorrà premiarli per questo, nessuno si sorprenderebbe.