Terra di Siena: Pioneer, la recensione

Frastornato dagli sbalzi di pressione Pioneer si aggira come il suo protagonista, senza punti di riferimento ma tenace. Peccato non tutto sia a fuoco

Critico e giornalista cinematografico


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La storia vera della svolta che ha portato la Norvegia ad essere uno dei paesi più ricchi del mondo (l'installazione di oleodotti di terra) non è una passeggiata di salute ma una serie di morti, omissioni, inganni e soprusi. Ne fa le spese Petter, impiegato specializzato nel lavoro a pressioni disumane, sommozzatore che vediamo allenarsi assieme al fratello per resistere a profondità incredibili respirando un gas particolare. Al momento di andare ad operare però un incidente ucciderà suo fratello e la colpa verrà data a Petter che, incosciente, ha causato l'esplosione fatale. Petter però non è persuaso e vuole sapere il perchè del proprio momento di incoscienza, scoperchiando violenze e intrighi.

Il thriller per Skjoldbjærg sembra passare per la distorsione della percezione, già Insomnia (che ispirò l'omonimo remake americano diretto da Nolan) lavorava sulla privazione di sonno e la difficoltà per un protagonista di essere all'altezza del suo ruolo eroico anche vessato da allucinazioni, fatica e difficoltà percettive. Ora Pioneer compie la medesima operazione con lo stordimento da sbalzo di pressione, localizza la cattiveria che vuole raccontare sul mondo dei pressurizzati e come in un film americano degli anni '70 trova nelle armi tecniche, negli strumenti di lavoro (le camere iperbariche) i mezzi per le proprie torture e minacce. Ne esce un film molto originale nella sceneggiatura ma anche terribilmente sciapo nella realizzazione, che pare affidarsi interamente alle sue inquadrature ravvicinate e alla poca profondità di campo con cui viene comunicato lo stato alterato di Petter.

Il cast misto norvegese e americano è ai minimi sindacali della recitazione, così ogni sfumatura diventa un grido, ogni dettaglio microscopico uno macroscopico. Come in un tv movie le parti vengono svelate subito da sguardi truci immotivati e timorose smorfie di paura, in questa storia di segreti e ombre ogni elemento purtroppo è alla luce del sole per lo spettatore. Ciò che pare contare di più sono le sequenze d'azione e di suspense (molte e ben fatte) che però annegano in un mare di sottolineature ovvie e ben presto perdono il pathos che la storia dovrebbe dargli. Ciò che Skjoldbjærg sembra avere realmente a cuore è farci entrare nella testa di Petter, farci barcollare come lui in soggettiva, farci perdere riferimenti come lui ma anche avere la sua tenacia. Il suo sforzo però è più tenico che narrativo.

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