Terminator: Destino Oscuro, la recensione
La saga riparte dal secondo film ma Terminator - Destino Oscuro non ha forza a sufficienza per non essere schiacciato dal fan service
Terminator: Destino Oscuro, di Tim Miller - la recensione
La saga di Terminator è una delle più confuse e incasinate tra le molte di cui siamo testimoni, sembra prendere una direzione diversa a ogni film, viene continuamente chiusa e riaperta, uccisa e rianimata fino a sembrare uno zombie che con ogni risveglio è sempre più la parvenza di quel che era in vita. Terminator: Destino Oscuro è l’ultima incarnazione e riparte da Terminator 2: Il giorno del giudizio, cancellando tutto quello che è stato raccontato nei film successivi. È un secondo sequel/reboot. O un refresh del franchise. O un sidequel della saga.
La storia sembra scritta per rispondere a una serie di domande superflue come: “Cosa accade a un Terminator quando completa una missione? Come continua a vivere nel passato?”, oppure “Sconfitto Skynet non abbiamo creato altre intelligenze artificiali?”. Tutto ci porta alla ripetizione delle dinamiche del primo e secondo film, con due Terminator mandati dal futuro, uno per uccidere e uno per proteggere, più i grandi vecchi (Linda Hamilton e Arnold Schwarzenegger) che si uniscono alla festa come consulenti esterni. Il nemico è simile al T-1000, con un twist che ne aumenta la pericolosità (e diminuisce l’originalità).
In tutto questo la Hamilton e Schwarzenegger portano avanti quel costante processo di umanizzazione del T-800 che in Terminator 2 era uno scherzo di John Connor e alla fine piccolo espediente di commozione, ma è poi diventata con il tempo sempre più una presenza ingombrante e quasi una vergogna, uno stravolgimento completo di un personaggio che è diventato memorabile in un’altra maniera.
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