Terapia Di Coppia Per Amanti, la recensione

Il film che adatta il libro omonimo parte con le migliori intenzioni ma accumula problemi e difetti fino ad una terribile terza parte e un ingiusto finale

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Ci doveva essere un’ottima idea all’inizio della progettazione di Terapia di Coppia per Amanti, un buono spunto su come adattare il romanzo omonimo di Diego De Silva, lo si intuisce da alcuni snodi e dalla maniera in cui è ritmata la sceneggiatura che c’è stato un pensiero dietro. Eppure è probabile che qualcosa sia successo ad un certo punto che ha minato la riuscita del film che ora, una volta finito e in sala, è un confusissimo pasticcio che parte raccontando la storia di due amanti che vanno da un terapista di coppia, come fossero sposati, e finisce aggiungendo anche la storia del terapista stesso, aggiungendo scene di musica non necessarie e una lunga accozzaglia di interludi fino ad un finale che, con una mossa molto nota al cinema italiano recente, molto ruffiana ma sempre efficace, ritorna un po’ indietro nel tempo e ci mostra il primo incontro dei due.

Il problema di Terapia Di Coppia Per Amanti è proprio che non riesce a rendere ciò che la sceneggiatura racconta. Non rende per nulla bene il personaggio di Ambra Angiolini, l’amante in difficoltà, desiderosa di fare terapia, semplice ed incasinata, moderata eppure contaminata da slanci passionali, piena di forza eppure debole. Non rende bene alla stessa maniera il personaggio di Pietro Sermonti, che eccelle nelle note comiche ma non può sanare i problemi più gravi, come il fatto che sia un musicista che tutti descrivono come bravissimo ma quando suona sentiamo una musica molto molto ordinaria, suoni convenzionali e nulla che ci convinca della sua grandezza, nemmeno quando solo parla della musica. Infine è senza senso il personaggio di Sergio Rubini, il terapista, incoerente con le sue premesse e poco approfondito per l’importanza che poi assume.

Tutti questi problemi si tengono in piedi a vicenda fino a metà ma deflagrano a tre quarti di film quando tutto cambia e diventa una storia sul rapporto che una coppia ha con un terapista, uno in cui le persone non fanno altro che confessarsi cose a vicenda con i dialoghi (non propriamente il massimo al cinema, specie se non sono scritti benissimo) e in cui l’umorismo comincia a stonare e suonare iniettato a forza, addirittura spesso dialoghi aggiuntivi spiegano e prolungano battute già di loro poco divertenti.

Alla stessa maniera in cui compare all’improvviso Alan Sorrenti, per confessarsi outsider ed esibirsi in Figli delle Stelle dentro un night che pare vuoti accanto a Sermonti che suona, così molte altre parti del film sembrano aggiunte senza un vero perché, assemblate per forza e non per concordanza. Film che si costruiscono forzatamente invece che srotolarsi fluidamente davanti allo spettatore

Continua a leggere su BadTaste