Ted Lasso (seconda stagione): la recensione

La fortuna di Ted Lasso è che crede così tanto alla sua premessa da convincere anche lo spettatore più scettico

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Ted Lasso 2 recensione

La fortuna di Ted Lasso è che crede così tanto alla sua premessa da convincere anche lo spettatore più scettico. Perché, probabilmente va ricordato, questa comedy dei record e pluripremiata ha uno svolgimento del tutto assurdo, ben oltre la sospensione dell'incredulità che richiede di solito il genere. Nella seconda stagione finisce l'effetto sorpresa, ma la serie Apple TV+ rimane uguale a se stessa: Ted continua ad essere una sorta di orfana Annie con i baffi, pronto a tirar fuori il bene da qualsiasi essere umano respirante che si trova sul suo cammino, o nel suo spogliatoio. Oltre ogni altra preoccupazione quotidiana, immerso in ideali di bontà, saldi principi, sensibilità che voglio – e riescono ad essere – l'opposto assoluto del mondo di oggi.

In particolare, della comunicazione su internet. Ted Lasso (sia la serie che il personaggio) non ignora la tecnologia, ma predilige il confronto faccia a faccia, i discorsi motivazionali – anche se un po' sgangherati – del protagonista. E nel farlo continua a rinforzare atteggiamenti e attitudini positive che di solito invece nel dibattito quotidiano, online e non, sono oggetto di scherno o di paura. In questa seconda stagione si parla di mascolinità tossica, di genitori terribili, di attacchi di panico, di etica professionale. E lo si fa con un tono candido, al quale come detto la serie si abbandona totalmente.

Uomini che si abbracciano, piangono, soffrono, e tutto questo all'interno dell'ambiente calcistico, che dovrebbe essere baluardo, anche un po' stereotipato, del genere maschile. Invece proprio in questo ambiente trovano spazio dinamiche nuove, nuovi modelli di pensiero, nuove priorità. Non c'è poi moltissimo da dire sulla trama in generale e sugli eventi della seconda stagione. L'americano Ted Lasso (Jason Sudeikis) continua ad allenare la squadra del Richmond, senza troppi successi sul campo in verità. La ruvida Rebecca Welton ormai si è completamente convertita alla filosofia di Ted Lasso, e così praticamente tutti gli altri tra allenatori e calciatori. I risultati sono importanti, ma c'è sempre qualcosa che viene prima.

In più di un momento la serie può far alzare un sopracciglio per la retorica dei buoni sentimenti o i monologhi che dovrebbero essere improvvisati e invece sono molto costruiti. Ma soprattutto il tranquillo disinteresse per l'orientamento al risultato o il puro sostentamento economico. Chissà, forse il cinismo imperante ha fatto troppa breccia nel cuore di chi guarda la serie, ma è difficile accettare davvero tutto quello che accade o che viene detto. Insomma, essere buoni va bene, ma ci vuole anche buon senso. Il punto è che Ted Lasso non fa prigionieri con la sua scrittura: questa è la proposta di un modello completamente nuovo, in cui il "problem solving" passa attraverso il miglioramento delle attitudini delle persone, e vincere a tutti i costi non deve essere la priorità.

E a questo proposito ci sarebbe da parlare del modo in cui lo show ribalta la retorica sportiva alla quale siamo abituati, anche in tv (Friday Night Lights). All'idea di sforzo supremo, individuale e collettivo, nel quale concentrare tutto se stesso, Ted Lasso contrappone un più semplice "il calcio è vita". Quindi, divertiamoci prima di tutto, e il resto verrà da sé. Come detto, una volta compreso questo, non c'è poi molto da dire sulla trama. È difficile capire quanto la formula della serie durerà e dove ci porteranno le prossime stagioni (sì, al plurale, senza dubbio), ma sarà interessante scoprirlo.

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