Tchaikovsky's Wife, la recensione | Cannes 75

Cosa accade a una persona debole quando si scontra con una potente in Russia, Tchaikovsky's Wife parla del passato per raccontare il presente

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
La recensione di Tchaikovsky's Wife, in concorso al festival di Cannes

Siamo nel mondo delle grandi co-produzioni europee, quel fluido denso e melmoso di cinema in costume, ricostruzione e racconto del presente tramite la biografia di qualcuno vissuto nel passato. Un genere nel quale è complicatissimo far emergere qualcosa di meno di innocuo. La locuzione del titolo Tchaikovsky’s Wife dice tutto, non parliamo di una persona in quanto tale, ma di una persona in quanto moglie di Tchaikovsky e come i cartelli iniziali ci precisano all’epoca una donna era totalmente sottomessa al proprio marito, quasi fino alla scomparsa dell’identità.

Sulla vera storia di Antonina Miljukova, della sua pazzia e della ossessione per il marito che non la voleva più, Serebrennikov costruisce una storia molto difficile che incrocia il tema eterno dell’amour fou con i più recenti femminismi e con qualcosa di molto caro a lui, ovvero cosa accade quando una persona non potente decide di scontrarsi con una potente. La musica è quasi inesistente, non è proprio quello il punto della questione.

Come ampiamente acclarato oggi, Tchaikovsky era omosessuale e il matrimonio fu una forma di copertura per qualcosa di scarsamente accettabile, nonostante l’avesse messo più o meno in chiaro (nei termini in cui si poteva parlare della cosa al tempo) Antonina non se n’è mai convinta, e (questa la parte interessante) ha sempre continuato con forza a pretendere amore, a tratti anche carnale, da una persona omosessuale. Serebrennikov sa bene che ci sta raccontando la storia di una persona ossessionata e che pretende qualcosa di impossibile, non di meno lo fa per affermare che più della giustizia o della ragione, quello che conta è come si venga trattati. La dignità non spetta solo a chi è nel giusto.

La prima parte del film, la migliore, è un classico racconto da Serebrennikov in cui la realtà è contaminata dalle visioni e dai pensieri (anche se non radicale come L'altra faccia dell'amore), una messa in scena potentissima da cui escono una fame di vita e un desiderio stupendi, anche se poi ciò che viene raccontato è la morte del desiderio stesso. Eppure c’è sempre una tensione tra corpi resa possibile dalla presenza del desiderio come fosse un fantasma, se ne avverte l’essenza anche quando non si manifesta. Serebrennikov è un regista molto maschile nello sguardo e anche per questo le sue donne sono piene di desiderio.

Inoltre, come già in Petrov’s Flu, c’è un grandissimo amore per l’essere russi, per quel modo di comportarsi, vivere e sentire gli eventi.

È semmai la seconda parte quella che comincia ad annaspare. Nonostante metta a segno più di una immagine vincente (eccezionale Antonina contornata da uomini nudi e muscolosi, l’essenza del potere virile da cui non esce, oppure la foto di famiglia in una foresta ghiacciata come i sentimenti), la ripetitività con cui racconta la disgrazia della sua protagonista, abbandonata a se stessa, incapace di comprendere cosa avvenga, accorgersi della distanza e dare un senso agli eventi, è un macigno.

Trincerato dietro il suo status di genio (come ripetono tutti) Tchaikovsky non è un aguzzino, semplicemente si disinteressa di lei, la tratta come un essere inferiore, e il resto del mondo degli uomini (che nemmeno la vuole in conservatorio) non sembra essere da meno. Tutto corretto e molto logico. Esattamente per questo Tchaikovsky’s Wife alla fine perde il suo abbrivio, perché sempre di più inizia ad assomigliare ad un film che chiunque altro poteva girare, da che era iniziato con ambizioni, immagini e una tensione palpabile che facevano parlare il film non con la sua sceneggiatura ma con la sua atmosfera. Non con la verità storica ma con la falsità delle visioni.

Sei d'accordo con la nostra recensione di Tchaikovsky's Wife? Scrivicelo nei commenti

Continua a leggere su BadTaste