Tár, la recensione

La nostra recensione di Tár, film diretto da Todd Field e presentato in concorso a Venezia 79. Con Cate Blachett, Noémie Merlant, Mark Strong

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La recensione di Tár, in concorso al Festival di Venezia

Lydia Tár (Cate Blachett) è assolutamente la migliore del suo campo. Direttrice d’orchestra dallo sguardo duro e penetrante - ma si fa chiamare maestro -, Lydia Tár afferma con un velo di ironia che non le interessa essere simbolo di una categoria (donna, lesbica). E alle resistenze di uno studente che sembra portare avanti le istanze della cancel culture (non volendo suonare Bach) si scaglia con ancora più rabbia contro la stupidità del dividere l’uomo e l’artista, del condannare l’arte al posto delle azioni dell’individuo.

Con In the Bedroom e Little Children il regista Todd Field aveva già indagato con spirito riflessivamente polemico - e poetico - sulla tensione di morte (da intendere anche in senso lato, come morte delle certezze dell’Io) che aleggia nelle tranquille comunità periferiche. Ora quel senso di ambiguità morale, per cui il male non esiste mai come un assoluto, si espande con una forza ancora più dura al mondo intero.

Tár è un film potente e complesso proprio per la sua capacità di produrre discorsi acuti sulla contemporaneità più scottante: siamo intorno e al tempo stesso oltre il #metoo, che è solo la superficie. Todd Filed esplora infatti le implicazioni del potere in un senso più ampio, usando una dinamica coercitiva specifica (quella sessuale) per parlare di autorevolezza e autorità, due concetti che bussano alla porta nel momento in cui un’accusa sembra già una prova di colpevolezza, mettendo a dura prova la moralità di chi guarda.

Dal punto di vista strutturale il film è l’indagine su un personaggio e le sue sfumature: seguiamo Lydia Tár mentre si prepara per un importante concerto in cui riadatterà la Quinta sinfonia di Mahler a Berlino, scontrandosi con un mondo non tanto artistico quanto professionalmente spietato, che tra favori, pulsioni, ambizioni di potere e un cinismo arrogante rende qualsiasi discorso sulla musica un discorso politico e morale. Cate Blachett è spaventosamente calata nel personaggio, indimenticabile non solo per la micromimica e l’intensità delle sua interpretazione, ma soprattutto per i lunghi monologhi e dialoghi in cui dà sfogo con un acume quasi terrorizzante (sì, Lydia è un antieroe) alle sue convinzioni al tempo stesso sempre convincenti e sempre discutibili.

Disseminato da elementi thriller e visionari, Tár usa il suono come irrinunciabile evocatore di fantasmi e insicurezze. La musica fa qui da padrona tra tutti i sensi, non solo perché ne siamo circondati, ma anche perché viene anche usata nella declinazione di rumore o suono ambientale per creare ulteriori strati di significato a ciò che vediamo. Tutto questo apparato sensoriale, aiutato dal montaggio, contribuisce a rendere la Berlino in cui è ambientata, i suoi spazi chiusi, larghi ma vuoti (come le case di Lydia, i teatri, i ristoranti) un’eco ulteriore di una miseria dell’animo della protagonista, sola in un mondo di spettri (le sue stesse pulsioni e idee) che la perseguitano ovunque vada. 

Todd Field, con la forza di una regia ipnotizzante, circonda sempre il suo soggetto osservandolo lungo il delicato confine che divide l’osservazione dalla presa di posizione. In questo modo non solo compie un atto cinematografico raffinato, ma ha anche il coraggio di rendere questa ambiguità la sua stessa risposta. La risposta è allora forse la bellezza stessa dell’arte, tanto sublime quanto qui corrotta dall’umano: in Lydia Tár convinvono entrambi gli estremi. Capace di meschinità e bassezze ma anche di un ingegno creativo e di una visione artistica impressionante.

La realtà è questa, facciamocene una ragione. L’arte è un’altra cosa.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Tár? Scrivetelo nei commenti!

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