Tango con Putin, la recensione

Tutto il meglio di Tango con Putin sembra rimanere inutilizzato, tutti gli spunti più clamorosa di una storia fuori dal comune sono buttati

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del documentario Tango con Putin, in sala dal 3 novembre

Al centro di Tango con Putin c’è Natalia Sindeeva, è lei più che il canale televisivo che ha creato e gestito, Dozhd, a muovere tutto il documentario di Vera Krichevskaya che altrimenti sarebbe “solo” una storia di resistenza alle angherie del governo russo e sopravvivenza in uno dei paesi più ostili per la libertà di parola. La differenza portata da Natalia Sindeeva sta tutta nel suo non rispondere propriamente al tipico profilo dell’oppositore, non è una figura politica coraggiosa e indomita, semmai è una donna mondana della Russia dei primi anni 2000. Natalia Sindeeva non votava nemmeno e non aveva interesse nelle questioni politiche quando crea una stazione televisiva votata al solo ottimismo, tutta colorata di rosa e viola con un nome che significa “pioggia”. Non il prototipo della minaccia per il sistema. Anzi.

In questo contrasto sta tutta l’occasione persa da Tango con Putin, realizzato da una delle persone che avevano fatto parte di Dozhd e molto vittima del filtro televisivo. C’erano margini per una grande storia, quella di una persona che matura una coscienza politica e un ideale così forti da portarla a non farsi schiacciare dalla lotta con il governo russo e rimanere in piedi nonostante tutto (Dozhd è ancora attiva in qualche maniera). Ma a volercela leggere c’era anche la storia di come persone diverse interpretano diversamente la lotta per la libertà e come nella più inusuale delle personalità il regime faccia emergere la più curiosa delle oppositrici, che balla scalza sotto la pioggia e anche nella sua televisione è un’ospite fissa. Forse più un perfetto film di finzione che un documentario.

Natalia Sindeeva alla fine è messa a fianco di personalità come Navalny e altri oppositori senza che questo stoni, anche se ad un certo punto, durante gli anni di presidenza di Medvedev sembrava essere pronta a farsi comprare dal sistema. Invece il semplice atto di continuare a mostrare ciò che accade nel paese, mostrare immagini di proteste, mostrare storie di brogli elettorali e denunciare la realtà dietro la propaganda gli vale il confino legale e mediatico a mano a mano che le maglie governative si stringono (il documentario è anche molto la storia di come sia cambiata la presa del regime in Russia negli ultimi 20 anni). 

L’unica immagine seria che Tango con Putin riesce a creare è quella del mosaico di canali che mandano in onda film, serie televisive, spettacoli e intrattenimento mentre su Dozhd vanno immagini di manifestanti brutalizzati o racconti di brogli elettorali, la distrazione di massa in un’immagine sola. Ma è troppo poco e anche un finale in cui a Natalia Sindeeva viene diagnosticato un cancro al seno poteva essere un momento ben più significativo di quanto non sia, quello in cui una persona che sembra identificare se stessa con l’immagine del proprio corpo (sempre ben inquadrato, curato, bello e atletico) e che proprio lì viene invasa dal male dopo anni di lotta contro il sistema. Ma non è che tutta la fatica di creazione di un senso la possano fare gli spettatori, dovrebbe essere una collaborazione tra il film e chi guarda.

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