Tango con Putin, la recensione
Tutto il meglio di Tango con Putin sembra rimanere inutilizzato, tutti gli spunti più clamorosa di una storia fuori dal comune sono buttati
La recensione del documentario Tango con Putin, in sala dal 3 novembre
In questo contrasto sta tutta l’occasione persa da Tango con Putin, realizzato da una delle persone che avevano fatto parte di Dozhd e molto vittima del filtro televisivo. C’erano margini per una grande storia, quella di una persona che matura una coscienza politica e un ideale così forti da portarla a non farsi schiacciare dalla lotta con il governo russo e rimanere in piedi nonostante tutto (Dozhd è ancora attiva in qualche maniera). Ma a volercela leggere c’era anche la storia di come persone diverse interpretano diversamente la lotta per la libertà e come nella più inusuale delle personalità il regime faccia emergere la più curiosa delle oppositrici, che balla scalza sotto la pioggia e anche nella sua televisione è un’ospite fissa. Forse più un perfetto film di finzione che un documentario.
L’unica immagine seria che Tango con Putin riesce a creare è quella del mosaico di canali che mandano in onda film, serie televisive, spettacoli e intrattenimento mentre su Dozhd vanno immagini di manifestanti brutalizzati o racconti di brogli elettorali, la distrazione di massa in un’immagine sola. Ma è troppo poco e anche un finale in cui a Natalia Sindeeva viene diagnosticato un cancro al seno poteva essere un momento ben più significativo di quanto non sia, quello in cui una persona che sembra identificare se stessa con l’immagine del proprio corpo (sempre ben inquadrato, curato, bello e atletico) e che proprio lì viene invasa dal male dopo anni di lotta contro il sistema. Ma non è che tutta la fatica di creazione di un senso la possano fare gli spettatori, dovrebbe essere una collaborazione tra il film e chi guarda.