Talk To Me, la recensione
Con una grandissima idea alla base Talk To Me non riesce a fare più di esporla, finendo per essere la versione lunga di un cortometraggio
La recensione di Talk To Me, l'horror di Danny e Michael Philippou in sala dal 28 settembre
Talk To Me racconta di un gruppo di ragazzi che tramite un artefatto (una mano di plastica) entrano in contatto con i morti. Lo fanno in gruppo ma uno alla volta, ridendo e divertendosi, eppure sapendo che un piccolo errore, anche solo nel calcolo dei secondi dopo i quali occorre staccarsi dalla mano, potrebbe avere conseguenze terribili. Conseguenze che inevitabilmente arriveranno per uno di loro, il più debole. E il contrasto cruciale è tutto qui: nella maniera in cui viene messo in scena lo spunto, una seduta spiritica che funziona ed è pericolosa, diventa qualcosa da fare ridendo, un esperimento potenzialmente mortale (o peggio) che viene fatto ripetutamente, ridendo, facendo figuracce da ubriachi, con una forma incoscienza che è al tempo stesso assurda e molto molto plausibile.
I protagonisti sono tutti adolescenti o post adolescenti in cerca di qualcosa, insoddisfatti da sentimenti che vorrebbero possedere e non possiedono, desiderosi di una vita più piena. Quelle esperienze con i morti da farsi rigorosamente per meno di 90 secondi li mandano in botta, dilatano le pupille e li avvicinano al godimento sessuale che non provano. E come sempre nei film di droga qualcuno ci rimarrà sotto, non riuscirà a smettere e penserà di aver trovato in quella pratica estrema che dà grande soddisfazione a breve termine un rimedio, una panacea. Più che un film è un concetto, un'idea (una sola) di messa in scena che, in assenza d'altro, forse reggerebbe più un corto che un lungo.