Talk To Me, la recensione

Con una grandissima idea alla base Talk To Me non riesce a fare più di esporla, finendo per essere la versione lunga di un cortometraggio

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Talk To Me, l'horror di Danny e Michael Philippou in sala dal 28 settembre

Per essere l’horror che arriva con più spinta in Europa (dal Sundance) Talk To Me si sgonfia presto, già nella seconda metà perde l’abbrivio che mostra inizialmente e non finisce con la forza con la quale era iniziato. Tuttavia sarebbe ingiusto guardare questo film aspettandosi qualcosa di convenzionale quando in realtà sembra proprio fare di tutto per spiazzare. È elevated horror, cioè quel tipo di film dell’orrore che prosperano da diversi anni a questa parte usando stereotipi o figure tipiche del genere per creare film con il passo e le ambizioni del cinema d’autore. È una definizione antipatica perché presuppone che questi (e non altri) siano per statuto superiori all’horror, che basti ambire a qualcosa per giocare in un altro campionato (migliore), ma se non altro è una definizione che dà conto di come siano film solo formalmente dell’orrore.

Talk To Me racconta di un gruppo di ragazzi che tramite un artefatto (una mano di plastica) entrano in contatto con i morti. Lo fanno in gruppo ma uno alla volta, ridendo e divertendosi, eppure sapendo che un piccolo errore, anche solo nel calcolo dei secondi dopo i quali occorre staccarsi dalla mano, potrebbe avere conseguenze terribili. Conseguenze che inevitabilmente arriveranno per uno di loro, il più debole. E il contrasto cruciale è tutto qui: nella maniera in cui viene messo in scena lo spunto, una seduta spiritica che funziona ed è pericolosa, diventa qualcosa da fare ridendo, un esperimento potenzialmente mortale (o peggio) che viene fatto ripetutamente, ridendo, facendo figuracce da ubriachi, con una forma incoscienza che è al tempo stesso assurda e molto molto plausibile.

L’idea di Danny e Michael Philippou per Talk To Me è che questa forma di spaventoso contatto con i morti sia come la droga: qualcosa di molto pericoloso che viene fatto con molta leggerezza in gruppo; qualcosa di proibito che si fa di nascosto e che proprio per le conseguenze che può avere eccita. Quell’eccitazione lì di gruppo (ci sono i bulli che spingono tutti, c’è la ragazza per bene che ha paura, i fratelli minori che aspirano a farlo, l’insicura che si fa spingere…) insieme alle dinamiche tra ragazzi è creata benissimo e Talk To Me “eleva” l’idea tipica dell’horror della seduta spiritica, o pseudo tale, a rappresentazione del desiderio bruciante di emozioni forti che sublima (in un certo senso) o accompagna quello sessuale.

I protagonisti sono tutti adolescenti o post adolescenti in cerca di qualcosa, insoddisfatti da sentimenti che vorrebbero possedere e non possiedono, desiderosi di una vita più piena. Quelle esperienze con i morti da farsi rigorosamente per meno di 90 secondi li mandano in botta, dilatano le pupille e li avvicinano al godimento sessuale che non provano. E come sempre nei film di droga qualcuno ci rimarrà sotto, non riuscirà a smettere e penserà di aver trovato in quella pratica estrema che dà grande soddisfazione a breve termine un rimedio, una panacea. Più che un film è un concetto, un'idea (una sola) di messa in scena che, in assenza d'altro, forse reggerebbe più un corto che un lungo.

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