Taboo 1x07: la recensione

Ecco la nostra recensione del settimo episodio della prima stagione di Taboo, in cui rivelazioni importanti si alternano a momenti drammatici per James

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Spoiler Alert
"Quale uomo razionale crede nella giustizia?" Le parole di James Keziah Delaney all'avvocato Chichester fungono da tagline ideale per il settimo e penultimo episodio della prima stagione di Taboo, poco meno di un'ora impregnata di violenza e rivelazioni che fanno impennare le aspettative nei confronti del finale della prossima settimana. Se la serie BBC ci ha abituati, sin dalle prime scene, a un'atmosfera intrisa di sangue e orrore, in questa puntata il dramma tocca i suoi vertici, complice un finale tutto incentrato sulle torture che James, incarcerato per alto tradimento a seguito della denuncia di Helga, subisce allo scopo di fargli confessare l'identità dei suoi complici americani.

Eppure, persino nei momenti più terrificanti, serpeggia in noi la consapevolezza che ciò cui assistiamo sia parte del piano di Delaney, mai del tutto impotente di fronte ai propri agguerriti nemici. Perché sì, James non crede nella giustizia - o sarebbe più corretto dire, non ci spera più - ma ha dimostrato, a dispetto di un'istintualità ferina palesata nell'amore e nella violenza, una razionalità in grado di fargli fronteggiare con successo le macchinazioni della Compagnia delle Indie Orientali e della Corona. E proprio da tali macchinazioni egli riesce a salvaguardare il fidato Godfrey e l'amata sorellastra Zilpha, sebbene la tutela di quest'ultima debba passare per un congedo freddo e distaccato, in aperto contrasto coi reali desideri di James.

Non poche sono le scoperte che quest'anticamera al finale di stagione regala al suo pubblico: spiccano tra tutte la confessione di Brace, che ammette di aver avvelenato Horace Delaney spinto da una sorta di bizzarra misericordia, e la testimonianza del piccolo Temple, che rivela a Lorna l'identità dell'assassino di Winter, scagionando quindi James dall'accusa di aver ucciso la giovanissima alleata in preda a un raptus di follia omicida.

Tuttavia, il balsamo dell'innocenza non può raggiungere il nostro protagonista che, nella Torre di Londra, chiede con voce rotta dalle vessazioni di poter incontrare Sir Stuart Strange, l'uomo che ordinò, dieci anni prima, di caricare la stiva della nave Influence con una pletora di schiavi destinati ad annegare miseramente nelle acque dell'oceano. Il faccia a faccia non viene evitato, James resiste alle torture e ottiene ciò che vuole ancora una volta: e in quell'ultimo "ho un incarico per voi" che rivolge a Strange, c'è tutto il mistero di un piano tanto machiavellico da farci contare impazienti i giorni che ci separano dall'epilogo di questa storia affascinante e cupa.

A una settimana dalla fine della stagione e con la consapevolezza che la storia di James sia ben lungi dal concludersi, possiamo iniziare a tirare le somme di un progetto che risulta, a oggi, riuscito sotto tutti i punti di vista, avendo conciliato con rara sapienza la raffinata estetica del dramma in costume e il magnetismo inquietante del thriller, con sfumature politiche che strizzano l'occhio a quei tabù che persistono tuttora nella contemporaneità. In questo senso, la terra promessa oltreoceano, dove nessuno giudicherà in base al colore della pelle o ai gusti sessuali, risulta un miraggio oggi come allora, un anelito all'uguaglianza che stentiamo ancora a vedere nitidamente, ma che uomini come James Delaney, con mezzi più o meno leciti, non si stancheranno mai di inseguire, alla ricerca di una giustizia fin troppo negata dalla razionalità.

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