Supreme: Blue Rose, la recensione
Abbiamo recensito per voi Supreme: Blue Rose, la miniserie di Warren Ellis e Tula Lotay raccolta in volume da RW-Lion nella collana Real World
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Non capisco cosa stia succedendo. Non sembra reale.
Il nuovo lavoro dello scrittore britannico riprende l’universo narrativo di Supreme, personaggio creato agli albori della Image Comics da Rob Liefeld; Ellis, tralasciando le figure ipertrofiche e i costumi sgargianti, si lancia in un’opera di metafumetto che mette in evidenza i contraddittori meccanismi della pratica di genere e denunciandone il fallimento e la vacuità.
Quella che di primo acchito potrebbe apparire come una storia di investigatori con irrisolti problemi mentali in cui il confine tra sogno e realtà è così labile da risultare quasi inesistente, si trasforma ben presto in un’avventura fantascientifica dove linee temporali esterne, provenienti sia dal passato che dal presente, si intrecciano e, ricorrendo a una mitologia tanto semplice quanto solida, danno origine a una fenomenologia reale che ci permette di cogliere le cose nella loro essenza logica.
Il mondo in cui vivono Dane, Dax e lo stesso Crane è nato solo pochi mesi prima, dopo l’ennesima revisione, evento ciclico con cui l’universo si azzera per poi ripartire da capo. Durante l'ultimo riavvio, però, qualcosa sembra essere andato storto: una distorsione, una crepa ha alterato il nuovo mondo rendendolo instabile e pericoloso.
Supreme: Blue Rose richiede una lettura approfondita e attenta al fine di cogliere i diversi piani di lettura e fruizione, oltre agli indizi che Ellis dissemina lungo i sette capitoli della storia. E in questo rapporto arbitrario tra significato e significante che risiede la magia e la bellezza di questo volume: l’insieme di elementi grafici di cui è composto (il significante) nasconde una doppia chiave di lettura rinviando ora a un esercizio stilistico in cui Ellis dà sfoggio della sua indiscussa abilità nel tessere una trama frammentata - che trova solo nel finale una risoluzione chiara e logica - ora a un'attenta analisi di quello che sta succedendo al media fumetto con i suoi continui reboot, mostrandoci un impietoso dietro le quinte. La sublimazione di quest’operazione, così geniale nella sua essenza, ci regala quello che forse è il più lucido attacco al mezzo, reso ancora più interessante dall’applicazione di teorie sul tempo e sulla sua concezione, che conferiscono un’aurea scientifica tanto inaspettata quanto funzionale.
A impreziosire ulteriormente il grande impatto di quest’opera ci pensano le matite di Tula Lotay. Sebbene la disegnatrice britannica mantenga uno schema regolare e un’impostazione lineare delle vignette (distribuite su tre, o al massimo quattro, strisce), la sovrapposizione di immagini, segni e colori interviene a demolire la schematica consequenzialità della struttura riconducendo il tutto a una dimensione onirica, fantastica e irreale. Il suo tratto si modella, si adatta e trasforma assecondando le diverse fasi della narrazione, senza mai perdere di efficacia e funzionalità. Lo sviluppo della trama e la parte grafica lavorano all’unisono per la realizzazione di un incastro perfetto e, considerato quanto concettuale sia la storia di Ellis, possiamo affermare che la Lotay fa suo il senso di questo romanzo grafico e lo traduce in immagini, mantenendone inalterato il messaggio.
Supreme: Blue Rose non presenta cali di tensione, corticircuiti, o punti deboli. La sintesi degli sforzi intellettuali e creativi di Warren Ellis, la sua continua opera di decostruzione del genere e la furia iconoclasta si abbattono su supereroi o presunti tali. La fascinazione estetica è una complice letale per portare a compimento il delitto perfetto, un delitto che cambierà la nostra percezione della realtà.