Supernova, la recensione
Supernova di Harry Macqueen è un compromesso non soddisfacente tra una volontà anti-melodrammatica e il desiderio di emozionare. Due opposti qui praticamente inconciliabili
Chissà se c’è un motivo specifico o se è solo un caso il fatto che, negli ultimi tempi, il cinema mainstream sta sentendo il bisogno di affrontare il tema della perdita di memoria. Film recenti quali The Father di Florian Zeller, Falling di Viggo Mortensen e, per l’appunto, Supernova di Harry Macqueen parlano infatti di uomini affetti da demenza/Alzheimer e anche - anzi, soprattutto - della difficoltà delle persone che gli stanno intorno a prendere le misure con la malattia, con una realtà cognitiva ed affettiva totalmente alterata.
Di questa relazione sappiamo pochissimo: è come se Macqueen volesse trattenere il più possibile ogni tipo di informazione sul passato dei due per concentrarsi sulla situazione in sé, per trasmettere il modo in cui ci si può sentire nell’affrontarla. In questo tipo di racconto visivo e di narrazione minimalista Harry Macqueen è sempre misurato, accorto. La dinamica è chiara nella sua gravità, è raccontata in modo onesto, senza alcuna volontà di crogiolarsi in modo spettacolare nel dolore. Bastano infatti due corpi separati nel piccolo spazio di un camper ma che sembrano distanti anni luce, o il buio avvolgente di una notte di soli sospiri per capire un intero universo di disperazione. L’ostinazione di Sam nel salvare Tucker quando nemmeno questo vuole farlo è palesemente uno strazio per il personaggio. Lo si capisce da come lo guarda, da come si ostina a rendere tutto perfetto.
In questo senso sembra pericolosamente un compromesso la tipologia di recitazione sui cui si assestano Firth e Tucci, dovendo questi assumere su di sé il peso di bilanciare queste due spinte opposte (la negazione del melodramma e il coinvolgimento emotivo). È infatti sempre palese ma mai pienamente convinto il modo in cui, entrambi, si sforzano di tirare fuori durante i dialoghi un sottotesto profondo che le parole scritte da Macqueen invece non hanno affatto. L’intensità delle scene è alta, ma il mero contenuto non è alla pari della performance.
L’effetto di questo compromesso è allora una straniante via di mezzo, che né la creazione di un’atmosfera precisamente malinconica - di paesaggi bucolici bagnati dalla pioggia - né l’eleganza della messa in scena riescono a risolvere una volta per tutte. Forse a mancare qui a Macqueen è proprio la capacità di raccontare altro che non sia la mera situazione in sé.
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