Supernova, la recensione

Supernova di Harry Macqueen è un compromesso non soddisfacente tra una volontà anti-melodrammatica e il desiderio di emozionare. Due opposti qui praticamente inconciliabili

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Supernova, la recensione

Chissà se c’è un motivo specifico o se è solo un caso il fatto che, negli ultimi tempi, il cinema mainstream sta sentendo il bisogno di affrontare il tema della perdita di memoria. Film recenti quali The Father di Florian Zeller, Falling di Viggo Mortensen e, per l’appunto, Supernova di Harry Macqueen parlano infatti di uomini affetti da demenza/Alzheimer e anche - anzi, soprattutto - della difficoltà delle persone che gli stanno intorno a prendere le misure con la malattia, con una realtà cognitiva ed affettiva totalmente alterata.

Harry Macqueen con il film Supernova - di cui è sia regista che sceneggiatore - decide di concentrarsi sul periodo subito precedente a quello dell’effettiva malattia, puntando a raccontare il dolore e la fragilità di due personaggi di fronte all’orribile ignoto (o meglio, oblio…) che gli si presenta davanti. Quella situazione di angoscia silenziosa Supernova lo sa raccontare finemente, in modo totalmente anti-melodrammatico. Tutto il film si basa infatti sull’interazione, di poche parole ma tanti piccoli gesti, tra Sam (Colin Firth) e Tucker (Stanley Tucci), una coppia che si ama da anni e che decide di compiere un viaggio in camper nella campagna inglese per - si intuisce da subito, senza che venga detto chiaramente - fare qualcosa di speciale un ultima volta

Di questa relazione sappiamo pochissimo: è come se Macqueen volesse trattenere il più possibile ogni tipo di informazione sul passato dei due per concentrarsi sulla situazione in sé, per trasmettere il modo in cui ci si può sentire nell’affrontarla. In questo tipo di racconto visivo e di narrazione minimalista Harry Macqueen è sempre misurato, accorto. La dinamica è chiara nella sua gravità, è raccontata in modo onesto, senza alcuna volontà di crogiolarsi in modo spettacolare nel dolore. Bastano infatti due corpi separati nel piccolo spazio di un camper ma che sembrano distanti anni luce, o il buio avvolgente di una notte di soli sospiri per capire un intero universo di disperazione. L’ostinazione di Sam nel salvare Tucker quando nemmeno questo vuole farlo è palesemente uno strazio per il personaggio. Lo si capisce da come lo guarda, da come si ostina a rendere tutto perfetto.

D’altra parte, tuttavia, Supernova si trattiene così tanto dall’essere troppo drammatico, ha così tanta paura di essere emozionante in modo “facilone” che, all’opposto, risulta spesso privo di emotività, privo di simpatia verso i suoi protagonisti. La freddezza composta di Macqueen risulta così in un certo senso controproducente. Banalmente, il fatto è che guardando Supernova si fa davvero fatica a commuoversi.

In questo senso sembra pericolosamente un compromesso la tipologia di recitazione sui cui si assestano Firth e Tucci, dovendo questi assumere su di sé il peso di bilanciare queste due spinte opposte (la negazione del melodramma e il coinvolgimento emotivo). È infatti sempre palese ma mai pienamente convinto il modo in cui, entrambi, si sforzano di tirare fuori durante i dialoghi un sottotesto profondo che le parole scritte da Macqueen invece non hanno affatto. L’intensità delle scene è alta, ma il mero contenuto non è alla pari della performance.

L’effetto di questo compromesso è allora una straniante via di mezzo, che né la creazione di un’atmosfera precisamente malinconica - di paesaggi bucolici bagnati dalla pioggia - né l’eleganza della messa in scena riescono a risolvere una volta per tutte. Forse a mancare qui a Macqueen è proprio la capacità di raccontare altro che non sia la mera situazione in sé.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Supernova? Scrivetelo nei commenti!

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