Superman: L'Uomo d'Acciaio, la recensione

La nuova edizione di L'Uomo d'Acciaio, la miniserie di John Byrne che ridefinì Superman nel 1986

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The Man of Steel (L'Uomo d'Acciaio), miniserie di sei numeri pubblicata nel 1986 dalla DC Comics, scritta e disegnata da John Byrne - con le preziose chine di Dick Giordano - è quella che possiamo considerare un'opera figlia del proprio tempo.

Per quelli che ancora non lo sapessero, questa storia si inseriva in un contesto di rilancio generale dell'intero Universo DC (della serie, nulla si crea e nulla si distrugge) facente seguito alla maxiserie Crisis on Infinite Earths (Crisi sulle Terre Infinite) e di cui fece parte anche – per dire il titolo più celebre – Batman: Year One di Frank Miller.

L'operazione editoriale è ben chiara: ringiovanire, per il pubblico di allora, il personaggio di Superman che, pur essendo uno dei più riconoscibili della casa editrice, nonché l'unico fino a quel momento a essere stato protagonista di lungometraggi dall'alto budget, deve conquistare molti nuovi lettori, quelli che troverebbero certe trovate della Silver Age risibili. Quindi tutto ciò che è stato narrato prima (o quasi) va messo da parte. Annullato, anzi, in molti casi.

Byrne riscrive del tutto l'origine di Superman nota fino ad allora: è l'unico sopravvissuto del distrutto pianeta Krypton e arriva sulla Terra dove viene ritrovato e cresciuto dai coniugi Kent, in Kansas. Divenuto adulto, capisce che i suoi grandi poteri devono essere destinati a un fine più grande e si trasferisce in una grande città, Metropolis, adottando l'identità del giornalista Clark Kent.

Quello che segue è una sorta di romanzo di formazione a fumetti che si dipana per un periodo di alcuni anni e che porta il protagonista a conoscere alcune delle persone che segneranno la sua vita futura - tra cui Lois Lane, Batman e Lex Luthor - ma soprattutto ad andare alla ricerca delle sue vere origini che troverà infine proprio dove tutto è iniziato.

The Man Of Steel è un'opera apprezzabile, pur risentendo oramai degli anni passati e di alcune soluzioni narrative del tempo (come gli "spiegoni") ora in disuso. Anche i disegni di John Byrne sembrano quelle fotografie che nel tempo rivedi con piacere, anche più volte, ma con la consapevolezza che appartengono a un periodo che (ed è giusto sia così) non tornerà più.

Quello che si nota oggi è come dietro a questa storia ci fosse un progetto editoriale più ampio, ben preciso e portato avanti fino in fondo. Il tutto a discapito delle proteste da parte di coloro che avrebbero potuto non apprezzare questo tipo di operazione.

Che dite? Il tutto vi appare quanto mai familiare? Non c'è da stupirsene, è solo la dimostrazione che la storia tende a ripetersi nel tempo. Ed è il tempo, alla fine, a stabilire se un racconto sarà ricordato o meno. Quindi se trent'anni dopo siamo ancora qui a parlare di questa storia seminale di John Byrne, un motivo ci sarà.

Un paio di parole infine sulla confezione editoriale che appare ben fatta, pur con qualche refuso di troppo all'inizio.

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