Supergirl 4×11 "Blood Memory”: recap e commento

La nostra recensione dell'undicesimo episodio della quarta stagione di Supergirl intitolato "Blood Memory"

Condividi
Recap

Per proteggere sua sorella, Alex ha scelto, assieme ad altri agenti del D.E.O., di dimenticare l'identità segreta di Supergirl, sfruttando gli incredibili poteri di J'onn. Conseguentemente, il rapporto tra le due donne è radicalmente cambiato, perlomeno quando Kara indossa i panni della Ragazza d'Acciaio.

Nel frattempo, in Russia, l'addestramento della "Red Daughter" incappa in un imprevisto, le cui conseguenze si avvertono a mezzo mondo di distanza, quando un raggio radioattivo irradia una partita di droga che trasforma in suoi consumatori in mostruosi e furiosi ibridi tra esseri umani e alieni. Il D.E.O. interviene, ma Alex capisce subito che in lei c'è qualcosa che non va.

Intanto, Kara decide di accompagnare Nia a Parthas, la sua cittadina natale, dove risiedono ancora i suoi genitori e sua sorella. Qui, la protagonista ha modo di scoprire qualcosa di più sullo strabiliante dono che di generazione in generazione accompagna le donne di questa famiglia.

Immancabilmente, i due filoni narrativi si incrociano, con Supergirl che torna a fronteggiare la minaccia rappresentata dai Children of Liberty.

Commento

Episodio molto scialbo, per Supergirl. Blood Memory torna infatti a proporre quello storytelling vacuo e compassato che ha contraddistinto i peggiori episodi dello show. Si tratta di momenti davvero di rada, in termini di narrazione, in cui la storia sembra arenarsi, arricciandosi poi su se stessa e proponendo episodi alla cui fine è davvero difficile arrivare, da svegli.

Blood Memory parte da una premessa molto pretestuosa: un misterioso raggio radioattivo colpisce delle minuscole pillole a mezzo mondo di distanza, facendo sì che chiunque le ingerisca si trasformi in un mostro "simil Hulk". Tale incipit va poi a intrecciarsi, in modo forzato, alle immancabili tensioni che sorgono tra Supergirl e Alex, ora che quest'ultima non ricorda più che si tratta di sua sorella. È straniante, per usare un eufemismo, trovarsi spettatori di una sequenza che vede i due personaggi faccia a faccia, a mezzo metro di distanza, con il direttore del D.E.O. incapace di riconoscere la giovane donna con la quale è cresciuta.

Anche applicando la cosiddetta "sospensione dell'incredulità", è impossibile dare anche solo la sufficienza a Blood Memory, visto che anche i principali snodi narrativi rasentano spesso il farsesco - soprattutto la morte della madre di Nia - e ogni sequenza di azione è mal coreografata.

Di contro, il personaggio di Dreamer, in qualche modo, cresce e viene esaltato vistosamente in mezzo a tutta questa mediocrità. È sempre bene, inoltre, che temi importanti come quello della transessualità vengano portati all'attenzione del giovane pubblico a cui show di questa natura si rivolgono. Il modo in cui l'esperienza di Nia - evidentemente molto simile a quella dell'attrice che la interpreta - viene raccontata, senza edulcorazioni e mostrando anche gli aspetti più drammatici e violenti derivanti da una scelta così importante, è lodevole.

Continua a leggere su BadTaste