Supereroi, la recensione

Finalmente Paolo Genovese approda ad un'altra dimensione cinematografica, supera l'estetica da pubblicità e con le immagini ci fa qualcosa

Critico e giornalista cinematografico


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Supereroi, la recensione

Lungo gli anni, lentamente, il cinema di Paolo Genovese si è fatto più tecnico. Le sceneggiature sono rimaste sempre molto ordinarie se non proprio platealmente superficiali (ma senza quella gioia del divertimento della superficialità), agganciate a ottime idee e sinossi di gran presa, mentre la messa in scena è cresciuta. Supereroi segna l’arrivo di questo processo ad un nuovo standard in cui a fronte di un testo ugualmente blando e molto ordinario, scompare la pomposa ed enfatica pretesa di pontificare del passato (fortissima in Immaturi, sotto traccia ma presente in The Place) e il lavoro sulla luce comincia finalmente a parlare. Anche la scenografia e la ricerca degli ambienti inizia a superare la patina da confezione pubblicitaria e soprattutto (in questo caso) la possibilità di lavorare ad un altro livello con gli attori crea tutta un’altra categoria di film.

Supereroi è un film da vedere prima che da sentire, uno capace di raccontare sempre la solita storia, ma con una dimensione visiva che gli fornisce toni e livelli di lettura differenti e un po’ di profondità di lettura. Il racconto di una coppia attraverso i posti in cui si muovono e di come sono ripresi.
Non è il montaggio scombinato e atemporale a farsi notare (anzi sembra molto pretestuoso o forse anche quasi un modo per confermare l’involontaria mortificazione della scrittura, messa in secondo piano rispetto alla vera narrazione) anche perché questo collage di momenti diversi nella vita di una coppia non è animato dai contrasti caotici del collassare di passato e futuro, ma ha in realtà un andamento molto lineare nonostante i salti. Sono le immagini finalmente ad essere riempite di qualcosa, di Borghi e Trinca prima di tutto (meno l’altro polo del film Linda Caridi che dopo Ricordi? è la specialista italiana de film scombinati) e anche, in più di un momento, di quegli ambienti, di quella luce o controluce, di quei colori e di quelle location che creano chimiche differenti e momenti di unione (o anche solo di speranza di unione) e disprezzo. L’impressione alla fine è che questo campionario di momenti di coppia sia vivo. Che è più di quello che molti film di questo tipo possono dire di essere.

Certo rimane intollerabile l’uso delle musiche, lanciate in faccia al pubblico dopo le frasi enfatiche dei personaggi per sottolineare il dramma, e un po’ pedissequo come ricalchi i passi usuali del melò con la sovrapresenza di ospedali, incidenti e malattie fino ad un finale tirato per le lunghe che decisamente non è all’altezza della sobrietà con cui la storia è partita. Ma in Supereroi per la prima volta da molto tempo nel cinema italiano sentimentale c’è il piacere di un film intimo girato a buon budget e, cosa ancora più strana, bene! Uno in cui la coppia è solo fintamente protagonista per nascondere allo spettatore (fino a che non serve rivelarlo) che la vera protagonista è lei, Jasmine Trinca. È l’unica con un arco narrativo, è l’unica di cui comincia ad importarci qualcosa e questa è la storia di come il suo muro nei confronti degli altri possa cadere, la storia del suo lento sciogliersi attraverso una vita, raccontata per momenti diversi (anche per questo nonostante il montaggio in realtà il film è molto lineare nell’evoluzione del personaggio).

Certo rimane anche inspiegabile la bruttezza e povertà dei fumetti che lei produce e che tutti intorno a lei sembrano amare come fossero il massimo dei massimi. Ma sono dettagli.

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