Super Crush KO è un po' picchiaduro, un po' shooter, tutto pastello | Recensione

Super Crush KO è un mix di generi a volte non perfettamente dosato, ma sempre e comunque divertente: la nostra recensione

Un giorno troverò qualcosa di interessante da scrivere qui dentro.


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Super Crush KO è un po' picchiaduro, un po' shooter, tutto pastello | Recensione

Super Crush KO si fa notare dagli appassionati di produzioni indipendenti soprattutto per essere il nuovo lavoro dei ragazzi di Vertex Pop, che hanno già nel curriculum quella piccola perla che risponde al nome di Graceful Explosion Machine. Il gioco reinterpetava in maniera efficacissima lo sparatutto a scorrimento bidimensionale, superando alcune rigidità del genere di riferimento (di fatto annullando il concetto stesso di scorrimento automatico, né orizzontale né verticale), dando in mano al giocatore un nutrito arsenale e irretendolo piacevolemente con un ritmo frenetico, colori accesissimi e una colonna sonora elettronica in grado di suscitare potenti trip.

Andare oltre un genere, anzi oltre vari generi, è quanto punta a fare anche Super Crush KO, facendo affidamento sulla stessa filosofia di fondo, affidandosi a una vocazione arcade evidentissima fin dal primo secondo di gioco. La storia, narrata da tavole dal disegno a volte piuttosto grezzo, ma dalle piacevoli tinte pastello, è praticamente un mero pretesto per far partire e proseguire l'azione, e ne sono pienamente coscienti anche gli sviluppatori, che fanno di tutto affinché non si prenda mai troppo sul serio. Non potrebbe essere altrimenti, d'altronde, visto che il casus belli è il rapimento di Chubbz, il gatto della protagonista, Karen, da parte di una verde aliena, Ann, che ha a disposizione un esercito di robot. Gattaccio cattivo, farsi rapire così, senza nemmeno provare un accenno di resistenza.

Indossata la sua giacca smaccatamente anni '80 e imbracciata l'arma che l'aliena ha fatto cadere nel corso del bieco rapimento Karen parte per andarsi a riprendere il suo gatto, anche se il felino, lo si apprende proseguendo nella storia, non è che tutto sommato disdegni la compagnia della nuova padrona. E forse anche da questo l'eroina ricava la forza necessaria per spaccare a mani nude orde di robot. Davvero. Perché sembra una ragazzina qualunque, ma Karen mena forte, quanto i protagonisti dei più popolari beat 'em up, e quasi come loro, ovvero muovendosi attraverso un mondo bidimensionale, ma senza la possibilità di attraversare il piano orizzontale in profondità. Ecco quindi che il level design, per stimolare il giocatore, punta sul proporre aree che progressivamente si arricchiscono di sempre più piattaforme, sulle quali saltare o attraverso le quali passare verso il basso.

"L'avventura di Karen si configura fin da subito come un mix a volte non perfettamente dosato, ma sempre e comunque divertente"Una base da picchiaduro a scorrimento, una struttura dei livelli che invita al salto (ma non ci sono buche nelle quali cadere), cosa manca? Una spruzzata di run and gun, prevedibilmente, per far tutto quanto possa fare un gioco bidimensionale a scorrimento. Ecco quindi che l'avventura di Karen si configura fin da subito come un mix a volte non perfettamente dosato, ma sempre e comunque divertente (a patto di non avere chissà quali pretese in termini di raffinatezza di gameplay), che esalta l'azione non solo attraverso le modalità nelle quali si esplica, siano la combo di calci e pugni, la blastata da lontano, l'utilizzo delle mosse speciali, ma anche sfidando il giocatore a fare sempre meglio, in primo luogo alzando il livello di sfida secondo una curva ben disegnata, poi valorizzando l'anima arcade della produzione attraverso un sistema di valutazione che premia la performance.

Funziona? Sì, perché realmente permette a chi ha il pad in mano di fare veramente quello che vuole, dato che ogni singolo attacco è concatenabile, e allora si può puntare a procedere senza troppi pensieri, menando il menabile, oppure a elevare il proprio stile, per esempio sollevando i robot nemici con un potente montante e sparandogli mentre sono ancora in aria. Con le dovute proporzioni, Karen è quasi una Bayonetta bidimensionale, anche se in quel “quasi” c'è molto, da un impianto generale che chiaramente non può essere curato allo stesso modo ad aspetti che invece probabilmente il team di sviluppo avrebbe avuto il potenziale per migliorare, come la varietà dei nemici e delle ambientazioni, un'estetica che pecca di dettaglio, una colonna sonora trascurabile. Tutto quanto, insomma, fa la differenza tra una produzione “solo” discreta e una di convincente qualità.

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