Sun Children, la recensione | Venezia 77

Quella che poteva essere una tenera quanto blanda storiella ruffiana in Sun Children è un vero film d'evasione senza evasione con protagonisti bambini

Critico e giornalista cinematografico


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Sun Children è un film “con un messaggio” (!!) che è la categoria più fastidiosa, spinosa, scivolosa e soprattutto pretenziosa che esista. Quella che sa tutto e vuole insegnare tutto, possibilmente sfruttando il senso di colpa dello spettatore. Tuttavia è così appassionato di cinema vero da riuscire a trovare una storia concreta e appassionante a prescindere dal proprio messaggio, così da non tenerlo in primo piano ma contrabbandarlo dietro un’aria da La paranza dei bambini meets I Goonies, per poi liberarlo solo quando proprio è ormai inevitabile.

Davanti al messaggio c’è una storia molto intelligente e piena di idee di cinema, di suspense e umorismo di una gang di bambini che per conto della mafia locale si infiltra in una scuola gratuita che ha la missione di levare proprio i bambini dalla strada, perché sotto la scuola c’è qualcosa di prezioso che sono incaricati di recuperare scavando.

Come sempre nei film con bambini sono i bambini a fare la differenza. Al cinema esistono bambini attori e bambini presi dalla strada. Questi sono bambini presi della strada che recitano il ruolo di un bambino della strada che si finge quello che non è. Non facile. Hanno sia la vitalità che gli viene dalla vita che hanno fatto che le facce giuste, ma anche una potenza d’azione davanti all’obiettivo che fa il film. La forza di Sun Children infatti sta subito nel suo inizio, quando il furto di una ruota in un garage sotterraneo diventa un inseguimento per salvare quello che di loro fa il palo. Majid Majidi è subito appassionato più all’azione e alla tensione che alla tenerezza dei bambini (che pure a tratti viene esposta) e tiene sempre questo tono.

Evitando magistralmente il terribile filtro tenerezza che affligge quasi tutti i film con bambini lui li ritrae come adulti sotto copertura, intenti a nascondere le parti di sé che non si addicono al contesto della scuola (tipo le sigarette in tasca o il fatto che sanno di matematica perché lavorano nell’edilizia). Intanto quando chiedono di andare in bagno o quando tutti sono distratti per un saggio e una partita di calcio scendono nello scantinato e continuano a scavare il loro buco.

In quei momenti Sun Children sembra Il Buco di Jacques Becker o La grande fuga. I bambini scavano un tunnel inquadrati come Kirk Douglas in L’asso nella manica, installano le luci e attaccano a lavorare cambiandosi per non sporcare i vestiti. Sono le parti più forti, curatissime, degne di qualsiasi film d’evasione. Come tale ha anche la grande idea di prendere il più protagonista di questa gang, il più interessato alla riuscita dello scavo, e levargli progressivamente tutti gli alleati, lasciarlo solo con la sua cupidigia, dandogli l’onore di una trama da adulto dopo averlo trattato per tutto il tempo come un adulto infiltrato tra i bambini.

Certo alla fine sarà abbastanza evidente e smaccato come il film stesso è un cavallo di Troia per mostrare al pubblico quella scuola (reale) che fa il lavoro di levare i bambini indigenti dalle strade. Ne seguiamo le peripezie, vediamo le difficoltà e percepiamo l’importanza. Ma sì dev’esser ciechi per non notare che lavoro abbia fatto Majidi per gonfiare un messaggio in un film reale.

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