Sulle nuvole, la recensione

Un musicista autodistrutto, piegato dall'alcol, torna a Roma, nel cuore delle sue ossessioni, a casa del suo amore, ma tutto è cambiato, forse anche lui

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Sulle nuvole, al cinema per tre giorni dal 26 aprile

La musica e tutto quel mondo tirano fuori il peggio di me”, in questa frase pronunciata a un certo punto da Nick Vega, musicista autodistruttosi anni prima dopo un momento di grande successo nazionale, c’è lo spunto per un gran film, cioè l’idea che è esattamente ciò che sai fare meglio e ciò che ti può salvare a costituire la tua maledizione e ciò da cui devi stare lontano. Peccato che Sulle nuvole sembri non rendersene conto. Perché per quanto tutta la sua storia giri intorno a uno strano ritorno di Nick Vega, esiliatosi in miseria a Livorno, tornato a Roma per un lavoro da poco e preso da vecchi amori e alcol, vecchie dinamiche con case di produzione e nuove canzoni a sorpresa, lo stesso la concentrazione del film non è tanto sul rapporto distruttivo con quello che pare un destino scritto (la musica) ma sulla storia d’amore con una musa che non vuole più esserlo (forse).

Lungo il film infatti Nick, derelitto e senza soldi, finisce a vivere a casa di Francesca, sua vecchia fiamma negli anni d’oro, oggi sposata con figli e un buon lavoro. Lei lo lasciò dopo flagranti tradimenti, lei ha messo la testa a posto e malvolentieri lo ospita (per un volere del marito che sembra più che altro una necessità di sceneggiatura). E proprio Francesca dopo un po’ risulta più protagonista di Nick, perché è a lei che piomba in casa il passato, accanto ai figli, a lei infesta una vita equilibrata e lei è portata a farsi le domande più interessanti per noi (ma, anche qui, evidentemente non per il film). Senza contare che lei, grazie alla prestazione di Barbara Ronchi riesce a tirare fuori qualcosa da questa sceneggiatura, a differenza di Marco Cocci, nominalmente protagonista ma di fatto meno capace di spremere una prestazione da questo film composto da dialoghi lanciati più che pronunciati, grandi sentimenti mai costruiti ma semplicemente imposti come acuti improvvisi.

Era facile aspettarsi dal musicista Tommaso Paradiso una storia centrata su dinamiche che conosce bene, cosa che Sulle nuvole a prima vista potrebbe sembrare. Nella realtà invece è un film che potrebbe fare chiunque, ha i meccanismi del successo (nello specifico del singolo brano di grande successo) solo nello sfondo, mentre parla di amori passati che forse ripartono e in fondo non sono mai finiti. Un triangolo tra tre personaggi di cui ci importa pochissimo perché non siamo mai partecipi di nessuno dei 3 drammi che lo compongono, né temiamo per la carriera di Nick che ri-esplode senza fatica. Ci appare tutto facile e che a lui per primo non importi granché o che non sia stato salvato da chissà cosa, perché non teniamo davvero a lui (e anche su questo Marco Cocci ha non poche responsabilità).

Solo alla fine, nella più compiuta delle molte scene madri del film, Barbara Ronchi ce la farà a centrare almeno un punto, in extremis, trovando una dolcezza esterna al tempo, radicata nel passato ma ancora viva nel presente, adulta e invecchiata ma che, ce lo mostra bene, riemerge ancora mai sopita come se fosse sempre stata in un angolo. Un tipo di sentimento che si trova spesso nella musica di Tommaso Paradiso e che per pochi secondi, effettivamente, si traduce in audiovisivo.

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